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Accoglienza, un altro nome del cristiano

CULTURA E SPETTACOLO - 02 07 2017 - Don Battista Rinaldi

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Ci siamo accorti da tempo che l’ateismo di stato non è riuscito a soffocare la fede in quei paesi dove era ed è praticato; mentre un’indifferenza religiosa, diffusa nella nostra società, sta ottenendo risultati ben più devastanti all’interno delle coscienze e sul piano dei comportamenti. Pier Paolo Pasolini – proprio lui – già tempo fa metteva in guardia la Chiesa da un sistema che “se la ride del vangelo e ha deciso di ridurlo a folclore”. Ed è quello a cui assistiamo oggi, specie quando ascoltiamo le parole ‘brucianti’ del vangelo che ci toccano in questa domenica.

 


L’invito, molto esplicito del Signore, è quello di separarci da tutto ciò che blocca, trattiene, mortifica, la nostra libertà. Anche l’amore che circola all’interno di una famiglia o di una comunità chiusa, pur essendo qualcosa di grande e di sacrosanto può rappresentare un limite: c’è il rischio di chiudersi in un perimetro di affetti ben ristretto e protetto dove il volersi bene si consuma all’interno delle pareti domestiche o del proprio gruppo, senza che si avverta l’esigenza di allargare gli spazi della solidarietà nei confronti di tante persone che avrebbero bisogno di comprensione e di amicizia. E si teorizza e si tenta di giustificarlo, perfino, questo comportamento: prima i nostri! Dimenticando che l’amore e la solidarietà autentica non possono essere delimitati da confini e muri; da linee di demarcazione che segnano la provenienza. Dietro queste grida si nasconde certamente qualcosa di contrario allo spirito evangelico; sono il segno di un vangelo ridotto a folclore per le feste paesane che vogliono celebrare e difendere l’identità.

 

Siate accoglienti, ci dicono oggi le letture. Il verbo ‘accogliere’, in due versetti del vangelo, viene ripetuto sei volte. È un verbo tipico della spiritualità evangelica, i cui sinonimi potrebbero essere aprire le porte, ospitare, darsi da fare per tutti coloro che sono in difficoltà. Ciò che importa non è tanto la misura della propria prestazione, ma la qualità dell’accoglienza che dovrebbe esprimersi attraverso la prontezza, la premura, la disponibilità ad onorare in ogni ospite la presenza stessa di Dio.

 

Ovviamente non si pretende che tutti condividano: è una riflessione per coloro che tengono ancora alla ‘differenza cristiana’ e che non vogliono appiattirsi sulla opinione che va per la maggiore, che non sempre è segno di autenticità.

 

Don Battista Rinaldi

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