Dio con noi
CULTURA E SPETTACOLO - 27 05 2018 - Don Battista Rinaldi
Festa della Trinità. Non un concetto astratto o una formula fredda, ma un’occasione per cantare un inno riconoscente a Dio per il dono che ci ha fatto della sua stessa vita. Anche noi, infatti, attraverso il battesimo, siamo ‘immersi’ nella potenza viva del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In pratica di quella vita che non possiamo capire appieno, Dio ci rende parte. Una vita che nasce, si svela, ci coinvolge. Ecco il senso della parola mistero: non qualcosa che non si capisce, ma un fatto vitale per cui una persona si fa conoscere, si coinvolge nella nostra vita, e noi nella sua. Quindi una relazione da vivere più che una formula da capire. Dio, come ce lo ha rivelato e fatto conoscere Gesù non lo si può solo pensare e pregare, ma ci si deve vivere insieme e lasciare che egli penetri in ogni aspetto della nostra esistenza fino a rimanere in noi tutti i giorni come Spirito che abita e anima tutta la nostra vita; per aiutarci a diventare sempre più simili al Figlio e, in Lui e con Lui, consegnarci totalmente al Padre. E il mandato che Gesù Risorto dà ai discepoli di battezzare le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo diventa un mandato perenne che il Signore dà alla sua chiesa: non si tratta semplicemente di attuare e ripetere un rito, ma di introdurre gli uomini in questa relazione con Dio Padre, per mezzo del Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo; si tratta di far conoscere la vita divina e di introdurre in essa gli uomini. Non solo far conoscere ad essi che cosa bisogna fare per vivere bene – che è già molto di quello che sta a cuore al nostro Dio – ma aiutarli a prendere coscienza che la vita ‘in Lui’ diventa una vita piena di senso e degna di essere vissuta. Nel Vangelo poi l’evangelista non presenta più i Dodici, ma gli Undici, cioè una comunità monca, che ha conosciuto l’infedeltà, il tradimento e l’abbandono e la sorte tragica di Giuda. Inoltre è una comunità di credenti che però anche dubitano. La contemporaneità del gesto della prostrazione in adorazione e del dubbio che abita il cuore è significativa e richiama anche la nostra situazione: quante volte la fede si accompagna alla non-fede; la fede professata risulta sempre poca e povera quando è messa a confronto con i drammi dell’esistenza. Eppure questa comunità è chiamata a custodire e a nutrire la propria fede, anche se poca ed incerta. Non solo, ma è chiamata a comunicarla a ‘tutti i popoli’ nella completezza e nella totalità così come il Risorto l’ha consegnata ad essa. Un altro modo per dire che la chiesa non deve far leva sul proprio potere umano, nella sua missione, ma solo sulla promessa ‘Io sono con voi tutti i giorni’. Un promessa che diventa piena di consolazione. Don Battista Rinaldi
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