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Chi vincerà le elezioni, la politica o il partito del non voto?

ECONOMIA E POLITICA - 10 02 2018 - Ivan Bormolini

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Nei giorni di febbrile campagna elettorale prima del voto del quattro marzo prossimo, si ha la netta sensazione che i leader dei partiti politici, oltre alle tante promesse elettorali, abbiano paura di un partito che certamente non ha consegnato il suo simbolo, ovvero quello del non voto.

E' innegabile, e sono anche alcune statistiche a confermarlo, che molti italiani aventi diritto e dovere di voto, abbiano assunto nei confronti della classe politica un distacco molto forte.

 

Le cause di tutto questo sono molteplici, sono in parte forse giustificabili ed in parte molto meno. Mi chiedo quanti degli italiani ed italiane che hanno gridato allo scandalo perché i Governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni non sono stati eletti con la legittimazione del voto popolare, si recheranno il quattro marzo al seggio elettorale per esprimere la propria libera preferenza nel segreto della cabina elettorale.

 

Mi auguro, per il bene del nostro paese che siano in tanti, poiché la posta in gioco è davvero molto alta; l'economia italiana ha bisogno di risposte certe che siano stabili e durature, le problematiche sociali di vario genere, necessitano di interventi decisivi e non scordiamo nemmeno che l'Europa e le grandi potenze internazionali, dall'esito del voto e dalla possibilità di formare un nuovo Governo, guardano con estrema attenzione e sono pronte a giudicare e prendere decisioni.

 

Insomma chi verrà eletto avrà dei compiti molto ardui da risolvere e questa volta senza margine di errore. Credo che sia indispensabile recarsi alle urne, primo per un dovere civico e secondo per poter esercitare un diritto, che come per il dovere, è sancito dalla Costituzione stessa nei dettami dell' Articolo 48.

 

Ma analizziamo alcuni numeri, per cercare di comprendere come negli anni il fenomeno dell'astensionismo, ovvero del partito del non voto, abbia raccolto molti proseliti.

Parto dalle elezioni storiche del 18 aprile 1948, esattamente settant'anni fa, si votava per la prima volta dopo l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana. La partecipazione era stata del 92% degli aventi diritto al voto, storici erano stati gli esponenti di quella classe politica che chiedevano una scelta, si trattava infatti di esprimere una preferenza tra due sistemi di governo diametralmente opposti.

Da una parte la Democrazia Cristiana del Primo Ministro Uscente Alcide De Gasperi, e dall'altra il Fronte Democratico Popolare, una lista unitaria della sinistra che comprendeva il Partito Comunista di Palmiro Togliatti e il Partito Socialista di Pietro Nenni.

Vi erano poi formazioni definite minori, quali i Socialdemocratici, i Liberali, i Monarchici ed i Missini.

 

Ma già allora, nell'esito delle urne, si guardava anche alla situazione internazionale, e ci si domandava a quale schieramento o meglio blocco appartenere. Si doveva scegliere tra il blocco occidentale, guidato dagli Stati Uniti, oppure quello Russo, una pagina di storia non di poco conto, una guerra di ideologie tra due superpotenze che proprio tra il quarantasette ed il quarantotto segnavano l'avvio ufficiale della Guerra Fredda.

 

Torno per un istante all'esito di quel voto del quarantotto: un verdetto che era stato dirompente, per qualcuno un vero fulmine, la DC, aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti e pure quella assoluta dei seggi, mentre il Fronte Democratico si era attestato su dati minori. Insomma quegli elettori avevano fatto una scelta e la massa del popolo votante aveva dato il via alle sorti interne e internazionali dell'Italia.

Nel lungo cammino della storia della politica italiana sembra che però qualcosa si sia inceppato, tanto che ad oggi da ampia fetta di aventi diritto al voto, non giunge nessun segnale, come se l'elettrocardiogramma fosse piatto. Protesta o indifferenza? Tutta colpa di Tangentopoli?

 

No, forse nulla tutto ciò, il malessere del non voto, ha radici verso la fine degli anni settanta dove già un 25/30% dei cittadini ha smesso di recarsi alle urne, dando così innesco al partito del non voto. Tangentopoli, la maxi inchiesta dei Giudici di Milano, ha scardinato la Prima Repubblica, il famoso processo Cusani, nella sua teatralità, talvolta eccessiva, pur facendo conoscere scandali, ha favorito l'indignazione dei una parte del popolo elettore . Anche il seguito dopo il 94, non è certo stato idilliaco.

Ad oggi, basta guardare alle recenti elezioni della Regione Sicilia per comprendere come sia diffuso l'astensionismo, oppure ancora è sufficiente osservare come le tornate elettorali per il ballottaggio in alcuni importantissimi comuni italiani, abbiano visto risicate affluenze.

 

Io sono convinto che, domenica quattro marzo, saremo difronte allo scenario del 1948, sta a noi decidere, sta alla popolazione, con la semplice matita della cabina elettorale, lanciare un segnale chiaro ed inequivocabile. Non è più tempo di tergiversare oltre, ma è tempo di dare una dimostrazione di coscienza civica. Cosa significa dire io non voto perché tanto non cambierà nulla? Vuol dire semplicemente non avere coraggio di dire la propria, indipendentemente dal nome o dal partito. A questi signori del non voto, dell'astensionismo, rivolgo un appello, magari dopo il quattro marzo davvero non cambierà nulla, mi auguro il contrario, ma se tutti contribuissimo a far sentire la voce del voto, forse saremo, con la nostra coscienza attori non inascoltati ma partecipi convinti nel lanciare un serio e motivato monito a chi sarà chiamato a governarci.

 

Ivan Bormolini

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