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Giovani eroici degli alpeggi da Livigno alla Val di Lei

ECONOMIA E POLITICA - 05 08 2024 - Redazione

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Dalle alture di Livigno, il tetto d’Europa, fino alla Val di Lei che sovrasta Piuro, accessibile solo attraverso i Grigioni svizzeri e la diga elvetica che chiude a nord il lago, la provincia di Sondrio si distingue come terra di giovani e coraggiosi alpeggiatori. Qui, dalle Alpi Retiche a quelle Orobie, la tradizione della transumanza viene portata avanti con dedizione, dando vita a formaggi millenari come il Bitto e il Grasso d’Alpe.

 

“Nonostante un inizio di stagione tardivo, ora siamo nel pieno delle attività,” commenta Sandro Bambini, presidente della Coldiretti provinciale. “Questo è un lavoro duro, che richiede passione, vocazione e grande competenza. Le giornate sono lunghe, iniziando all'alba per fare i formaggi e continuando con la cura degli animali al pascolo. Ma il lavoro si svolge in scenari mozzafiato, tra pascoli verdi che sfidano le rocce e sembrano toccare il cielo. Da questi territori e da questo impegno nascono i grandi formaggi che in autunno raggiungeranno le tavole gourmet di Italia e del mondo”.

 

La tradizione dell’alpeggio è arricchita da riti, eventi e incontri. Recentemente, in Val di Lei si è celebrata la festa di Sant’Anna, un'antica ricorrenza rurale che ha riunito allevatori e dirigenti della Coldiretti, con la presenza del presidente Sandro Bambini e del direttore Giancarlo Virgilio. All’ombra della diga, la famiglia Del Curto, con le loro vacche di razza Bruna, i pascoli curati e l'agriturismo, mantiene viva la memoria e offre ristoro ai turisti. Anche valligiani e visitatori hanno partecipato ai festeggiamenti.

 

Le prossime settimane saranno ricche di appuntamenti in Val di Lei. Domani, l’azienda Del Curto ospiterà il meeting lombardo della Razza Bruna, con gare e visite alla stalla, prevedendo una grande partecipazione di allevatori dalle province del nord della Lombardia.

 

“L'alpeggio deve essere concepito come una risorsa, riconoscendo agli imprenditori agricoli il loro ruolo di presidio attivo del territorio,” sottolinea Bambini. “È fondamentale riconoscerne il valore storico, culturale, economico e identitario. Altrimenti, l’attività zootecnica in montagna rischia di scomparire, con conseguenze drammatiche per il territorio”.

 

Il divario tra l’agricoltura di pianura e quella di montagna è evidente e significativo. In montagna, le difficoltà sono maggiori: dal digital divide alla necessità di contrastare attacchi di animali selvatici, dalla salvaguardia dei prezzi dei prodotti caseari, soggetti a fluttuazioni di mercato, ai costi di produzione in aumento. Anche il trasferimento del bestiame sui pascoli di alta quota comporta costi rilevanti, accentuati da condizioni climatiche avverse, come il caldo torrido e le rapide inversioni termiche che mettono a rischio la salute degli animali e la produzione di cibo.

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