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"COSA ANDATE A FARE A BELGRADO"

CULTURA E SPETTACOLO - 31 07 2015 -

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MILANO - BELGRADO Pretendere di capire una città in un giorno è follia, sospendere il giudizio sembra l’unica via. Non mi era mai capitato di vedere Milano in pigiama. Quando è successo, stavo rientrando assonnato da qualche serata e non ci ho mai prestato attenzione. Vederla che si sveglia è come scoprire un trucco, capire che c'è un doppio fondo nel cappello, infilarci la mano e farsi morsicare dal coniglio. Ciondoliamo con i pendolari fuori dai tornelli della metro in attesa del primo treno, sono le 5:30 e dobbiamo correre a Malpensa, il volo per Belgrado parte alle 9:40. “Cosa andate a fare a Belgrado?” Dopo una buona mezz’ora di lavoro al pc, la donna al mio fianco mi interroga. “Eh, non lo sappiamo nemmeno noi, andiamo per cercare qualcosa, è la prima tappa del nostro viaggio verso Sarajevo”. La mia risposta deve esserle sembrata un fischio d'inizio, uno sparo, visto che come un centometrista ai blocchi di partenza Dragana esplode nel raccontarci la sua città mentre ormai dal finestrino si intravedevano già i Balcani e l’Adriatico sfumava nelle dimensioni del ricordo. Sulla quarantina, capelli neri, lisci, occhi grandi, chiari, viso tondo e naso lungo come la versione venuta bene di Olivia di Braccio di Ferro. Torna a casa a trovare i suoi genitori, ormai lavora in Italia da più di quindici anni. Basta fare due più due per capire che è partita proprio nel momento della crisi Kosovara, forse proprio quando la NATO bombardò Belgrado, ma per non diventare proprio io il Bruto della situazione non mi lancio nel chiedere. Segue mezz’ora di informazioni sulla Serbia, dice che oltre Belgrado la Serbia è un paese povero, ma vivo, si lamenta delle guide turistiche che la ricordano solamente per la sua grande vita notturna, ma quando le chiedo di dirmi una, ed una sola cosa che assolutamente non possiamo perderci della capitale, lei mi risponde proprio i locali notturni oltre il fiume Sava. Restiamo lì ad ascoltarla assonnatissimi, non per colpa sua, ma perché nella notte prima abbiamo dormito due ore o poco più, si è tirato mattina tra un concerto, una bevuta e discorsi che annoierebbero persino Augias. Dragana ci conquista parlando dei mercati del centro, del formaggio e di come suo padre ancora faccia la spesa lì tutti i giorni pur vivendo in una grande città, veri prodotti a chilometro zero. Adesso qualche supermarket di alimentari c'è, ma quando lei era piccola non c’erano grandi negozi, il socialismo imponeva questi mercati di quartiere come luogo di vendita delle merci dei contadini che affluivano tutti i giorni con i loro prodotti sempre freschi. Non avendo programmato nulla decidiamo di partire proprio da lì, dai mercati.  Purtroppo arriviamo al mercato di Stari Grad (città vecchia) nel primo pomeriggio quando ormai stanno chiudendo e in tutto il dedalo di bancarelle ne resistono ben poche con la merce ancora esposta, per gli altri commercianti è ormai scattato il momento birretta e sono soltanto le tre del pomeriggio. In fondo, alcuni uomini giocano a scacchi in silenzio, ci fermiamo a vedere due partite e chiediamo di poterli fotografare. Un silenzio, incredibile, penso al chiasso dei nostri pensionati che giocano a scopa. A bilanciare quella quiete ci ferma un ragazzo, Ivan, si presenta, ci scambia per serbi e ci prega di fotografare il suo amico ubriaco che se la dorme beato con la testa sulla bancarella. Accettiamo, ma mentre manu lo mette a fuoco, quello riesce a sollevare la testa, si sveglia e ci caccia innervosito, leviamo le tende tra le risate dell'amico. Ma torniamo sull’aereo. Mentre iniziano le manovre d’atterraggio, per gentilezza chiedo a Dragana che lavoro faccia in Italia, vien fuori che col marito gestisce un’azienda di management dei grandi eventi sportivi, le olimpiadi tipo. Roba da niente. Ci tiene a precisare che però al momento hanno in mano solamente il management del padiglione Expo dell’Unione Europea. Cedo al sonno che mi impone di dribblare il discorso Expo e in men che non si dica siamo in Serbia. Appena usciti dall’aeroporto Nicola Tesla, ci si avvicina un signore dall'aspetto un po’ losco complici le sopracciglia appuntite in mezzo che ricordano la cattiveria molesta del Grinch, lo sguardo furbo di un truffatore e, perché no, i tetti a spiovente del Sud Tirol. Chiede se abbiamo bisogno di un taxi. Stabiliamo che d’ora in poi le decisioni si prenderanno di pancia, seguendo le buone vibrazioni insomma. Ci fidiamo. Lo seguiamo fino alla sua macchina poco fuori dall'aeroporto, è in tutto e per tutto una macchina privata, non sembra per niente un taxi. Si ferma a pagare il parcheggio e sfrecciamo verso Belgrado, con un perfetto sconosciuto al volante che nemmeno ha voluto sapere la via in cui portarci. Ma va bene così. Solo quando lo salutiamo, tira fuori dal baule un’insegna TAXI che sembra fatta in casa, di gomma, la attacca sul tetto e si rigetta nel traffico. Entrando in città vediamo le grandi architetture sovieticheggianti, manciate di finestre regolari, austere, fino a culminare in quella che mi sembra essere come una gigantesca porta d'accesso alla città, una torre altissima con un disco volante in cima, che poi scopro essere un ristorante. E' la torre Genex. Entriamo in camera dell’ostello e troviamo Jimi Hendrix, Micheal Jackson e Bob Marley dipinti sulle pareti, figo, ma poco socialisteggiante. L’architettura del centro città invece sì che mi ricorda la Russia o almeno l'idea che ho di lei, la prima impressione è di assistere ad una fusione tra Budapest e un pochino di Vienna, con l'aggiunta dell’alfabeto cirillico che conferisce al tutto un’aspetto diverso, più trasognato. Belgrado è la tappa iniziale del nostro viaggio e decidiamo di approcciarla in maniera libera, il risultato è un pomeriggio in cui la giriamo in lungo e in largo, dai mercati agli edifici presidenziali, dai quartieri periferici fino al centro della città vecchia, la cittadella fortificata. Ed è qui che mentre il sole pare lanciarsi dentro il Danubio butto giù queste righe, manu poco più in là scatta le foto per un time-lapse, ci vorrà almeno un quarto d’ora. Il giudizio quindi non può che essere sospeso, perché il tempo è poco e vi riporto come promesso qualche impressione. Vedere gli edifici bombardati dalla Nato è abbastanza scioccante e fa scattare al volo una sorta di empatia con la vittima, come sempre in tutte queste situazioni. Credo che sia la "Pietas" cristiana che in qualche maniera ho assimilato negli anni e ne sono contento. Sembrerebbe che i palazzi come il Generalstab, ex sede del ministero della difesa e quartier generale dell'esercito prima jugoslavo e poi serbo, siano stati lasciati lì in quelle condizioni proprio come monito delle nefandezze altrui e in qualche modo per fare un po’ le vittime. Molti altri sono stati ricostruiti. Certamente rimangono a ricordo delle vere vittime, come le 16 persone tra giornalisti ed addetti morti nel bombardamento della sede della televisione di stato. L'insofferenza al turco che la contraddistingue da secoli, fa sì che non riesca a trovare nemmeno un kebabbaro in tutta Belgrado o quasi. Finiamo a mangiare hamburger fatti in casa in una via del centro solo perché la ragazza dietro al bancone è simpatica e ci sorride sempre. Come città è molto pulita, forse fin troppo, in tutti i sensi, e non credo abbiano uno zerbino sotto cui nascondere lo sporco. Li hanno visti tutti mentre svuotavano la paletta fuori dal terrazzo direttamente sul piano di sotto. Ma non è certo il momento né il luogo per tirare le somme, anche perché la pesantezza della sua storia si scontra con la vitalità delle sue vie che anche di lunedì sera sono stracolme, con la cordialità delle persone incontrate, facce che sembrano dure e arcigne ma che ci mettono un secondo per trasfigurarsi in irresistibili sorrisi, sarà l'estate che incombe, sarà la voglia di viversela. Domani dovremmo partire per una qualche metà, probabilmente verso il nord della Serbia per poi passare in Croazia, ma Belgrado sta abbattendo le nostre difese conquistandoci lenta, ma inesorabile, vedremo, innanzitutto abbiamo un carro di sonno da recuperare, partiremo da lì.
  DIARIO BALCANICO di L. Cometti GIORNO 0 – “Piccola premessa doverosa” GIORNO 1 – “Cosa andate a fare a Belgrado?” GIORNO 2 – “Gli scarafaggi muoiono sulla schiena” GIORNO 3 – “Le anime di Vukovar” GIORNO 4 – “La resa di Doboj” GIORNO 5 – “Leila Thirtyfour” GIORNO 6 – “Darko” GIORNO 7 – “Dove la logica si arrende, la Bosnia comincia, Aisha” GIORNO 8 – “Le bandiere” GIORNO 9 – “Viaggio in Republica Srpska” GIORNO 10 – “Decompressione”

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