SARAJEVO
Si chiamava Snello ed era un prosciutto. Un unico pezzo di prosciutto spesso, ancora da tagliare, venduto in buste opache che cercavano di sottrarlo alla caducità del tempo. Io ero piccolo, inesperto al mondo, non so dire come avessi fatto a tagliarne una fetta così spessa, era così gommoso che sembrava un chewingum. Il grasso bianco mi invadeva la bocca e non riuscivo a riconoscerne il gusto, forse perché era andato a male, ho potuto seguirne tutto il percorso giù per l'esofago fino alle porte dello stomaco che non lo ha rifiutato subito, ci è voluto un po'. Quella sensazione mi si è stampata così vivida nella testa, che benché io non riesca a ricordarne il contesto, non ho più mangiato il prosciutto cotto, quando ci provo, mi torna la sensazione di vomito. Al supermercato, lo chiedo sempre tagliato fine al costo di passare per schizzinoso, ma d'altra parte non è che si ha sempre l'occasione di potersi spiegare nella vita, spesso l'irrazionalità ha il sopravvento.
Aisha ha gli occhi belli da ventiseienne, un filo di matita a sottolinearlo e degli occhiali ancor più grandi, che se non fosse per la moda, penserei che le servano per ingrandire il mondo e comprenderne meglio ogni aspetto. Non ha problemi con il prosciutto, ma non può sentire i rumori forti. Quando alle feste vengono sparati i fuochi d'artificio o si avvicina il temporale le prende il panico. E non c'è nulla da fare se non cercare di ripararsi, magari nascondersi sotto le coperte come faceva da piccola quando i Serbi sparavano sul suo palazzo.
Aisha è nata a Sarajevo e non si è mai mossa da lì.
I suoi genitori, all'epoca poco più che ventenni, hanno dovuto rimanere in città durante tutto l'assedio. Lei aveva solo 3 anni quando tutto è iniziato e da quel momento non è mai più riuscita a godersi un temporale, o quanto meno non riesce più a ricordare a sé stessa che dopo la luce viene il tuono.
E' da circa tre settimane che ci sentiamo via internet e ci ha dato un grandissimo aiuto, ci aveva trovato un appartamento, i mezzi giusti per giungere in città, l'ostello migliore ecc... Solo sembrava un po' perplessa quando declinavamo le proposte spiegandole che il viaggio non avrebbe dovuto avere nulla di programmato. Già che ci sono vorrei cogliere l'occasione per ingraziare
Luca Pingitore, presidente di OTRA, associazione di viaggiatori indipendenti, per averci sostenuto ed aiutato in questo viaggio, ma soprattutto per averci passato il contatto di questa forza della natura che è Aisha.
La incontriamo di domenica pomeriggio, giusto il tempo di ricostruirci la faccia dopo un sabato sera a dir poco underground. Prima ancora delle presentazioni ci abbraccia fortissimo, così forte che sembra voglia far toccare i nostri cuori e trasmettere tutto così, senza usare le parole. Iniziamo subito a camminare in giro per la città, ci parla, col suo inglese perfetto, delle moschee, delle chiese, dei monumenti e dei quartieri più importanti della città, ma è solo quando ci fermiamo in un bar per mangiarci dei Cevapcici che riusciamo a conoscerla veramente. Ormai ha capito che non ci interessa sapere di quanti mattoni è fatta una chiesa o che Sultano abbia mai pensato di venire a costruire una moschea a Sarajevo, quello che ci interessa è lei, la sua storia. Aisha studia legge all'università, ma non sa che lavoro finirà a fare nella vita perchè in Bosnia se non hai agganci politici è difficile che tu possa sperare di diventare un giudice ad esempio. Tempo fa lavorava gratuitamente per un'associazione per i diritti umani, ma poi non aveva tempo per i suoi studi ed ha dovuto mollare anche se le avevano approvato grandi progetti, peccato. Si lamenta dei suoi coetanei che si lamentano per poco o niente, lei preferisce una vita piena di cose da fare, è ultradinamica questa ragazza. Quando passiamo davanti alla sua facoltà ci mostra le statue che svettano sul frontone della struttura, quella al centro, che rappresenta la giustizia, è stata decapitata da un terremoto qualche anno addietro "A Sarajevo anche la giustizia ha perso la testa", ride. Ride di gusto, forse con un filo di tristezza, non riesco a capire bene, ma se anche tristezza vi fosse, è tenuta a freno dalla fiducia di poter migliorare le cose, un giorno. Vi ho già detto che conosce l'inglese benissimo ma non vi ho ancora menzionato la sua passione per lo svedese. "Non so perché ho scelto quella lingua, semplicemente è come quando senti di appartenere ad un certo posto nel mondo, è come una vocazione, ogni secondo speso a discuterla è un secondo buttato, molto meglio abbracciarla senza tante domande". Giusto il giorno prima ha accompagnato per la città come guida un gruppo di suoi amici svedesi, erano molto contenti, uno di loro ha detto che le spedirà un libro quando rientrerà al nord e lei non sta più nella pelle. Gioisce per le piccole cose Aisha e se le gode fino in fondo, finché si può. Ama stare con le persone, conoscere gente da ogni parte del mondo, a volte le ospita pure a casa sua, come quella volta che ha ospitato un ragazzo macedone che sarebbe arrivato in città per un master universitario. Non c'è stato nessun problema per ospitarlo, anche se lei era timorosa di cosa avrebbero pensato i suoi genitori, questi hanno accettato di buon grado, anche se lei è una ragazza e lui un ragazzo, anche se sono mussulmani.
Già, Aisha è mussulmana come tutta la sua famiglia. "Non l'avresti mai detto eh?" Proprio no, i Jeans, le all stars, il rossetto e i capelli scuri liberi di muoversi al vento senza alcun velo che pretenda di imbrigliarli, mi avevano portato fuori strada. E' credente, ma ritiene che il rapporto con dio debba essere personale e diretto, la forma serve solo a quelli che non hanno nervo. Tipo al formaggio molle. E' questo il bello di questa città, l'insegnarti a non credere alle apparenze, ma cercare sempre di andare più a fondo. Premo sull'acceleratore e chiedo se non nutra una sorta di sentimento di "vendetta" nei confronti di chi ha fatto del male anche alla sua gente e mi risponde di no, la vendetta non è una di quelle cose che le interessa non è utile, non permette di andare avanti. Per Aisha il mondo non è bianco o nero, è grigio, dice che l'unica distinzione che concepisce è quella tra persone buone e persone cattive, nessun'altra. E non è retorica, credo che sia il vero portato della storia recente alle nuove generazioni. Il criterio di divisione etnica, semplifica.
La discussione prosegue per ore, dal bar ci spostiamo in un altro posto che è come una pasticceria Bosniaca con i tavolini interni, un posto che da soli non avremmo saputo scovare nel dedalo di viuzze della Bascarsija, lei continua a raccontare e noi ci perdiamo dentro quelle storie. Mille storie così intense e personali che non è il caso di riportarle qui. Ci fa assaggiare tre dolci tipici uno più buono dell'altro, segniamo le ricette e mi insegna a preparare il caffè alla bosniaca, un vero rito. Visto che le vietiamo di pagare per noi, ci porta in un negozietto minuscolo e ci dice di scegliere un souvenir a testa, ce lo avrebbe regalato lei. E' una sua tradizione e assolutamente non possiamo romperla, non ne vuole sapere.
I discorsi proseguono fittissimi anche quando la sera ci fermiamo a bere una birra, anzi a dire il vero, visti i postumi del sabato, noi beviamo una redbull, l'unico alcolico è il suo, sidro di mela. Parliamo della guerra le chiedo se le piace Alija Izetbegovic, presidente della Bosnia Erzegovina dal 1990 al 1996. Qui in Italia mi era arrivato come il leader difensore dei mussulmani di Bosnia, ma già Darko sottovoce (perchè eravamo in mezzo a mussulmani, mi aveva detto che secondo lui era uno stronzo, uno che mentre Sarajevo veniva assediata si sedeva attorno ad un tavolo con i serbi. Anche Aisha non lo ama, mi racconta che ora il figlio è in politica e si presenta come il difensore della città quando invece tutti sapevano che se ne stava al sicuro ad Istanbul mentre a Sarajevo si moriva per le strade. Del padre Izetbegovic, mi dice che secondo lei era un falso che si mostrava sofferente in pubblico per la situazione ma poi aveva poco polso per prendere le decisioni urgenti e necessarie, in mezzo alla piazza mi dice "fuck off, we don't need a pussy, we need a president!". Rido ancora adesso ripensando alla scena. Ci troviamo d'accordo sulla figura di Iovan Divijac, brigadiere generale dell'esercito, nasce nel 1937 da genitori serbi. Nonostante la propria origine etnica si schierò durante l'assedio a favore dei bosniaci, partecipando attivamente alla difesa della città assediata. Oggi Divijac, che non ha mai lasciato Sarajevo, città in cui vive tutt'ora, è a capo dell'organizzazione "Obrazovanje Gradi BiH", (L'istruzione conosce la Bosnia) che si occupa degli orfani di guerra e degli aiuti alle zone rurali del paese per promuovere l'istruzione delle classi più disagiate. Una vera icona positiva in quel mare di merda. Ha ragione lei, bisogna distinguere tra persone brave e persone cattive. Pensare di tornare a casa e trovarmi tutto il teatrino politico italiano, Salvini in testa, mi abbatte un po', ma dall'altra parte dell'Adriatico riesco a disintossicarmi dalla politica nostrana, complice un wi-fi salterino.
Emanuele chiede: "Ne hai foto di te durante la guerra?" risposta: "Eravamo senza cibo acqua ed elettricità, secondo te avevamo tempo e modo di farci le foto?" resta seria per qualche secondo, poi scoppia a ridere, "Dai, ho capito cosa volevi dire...no, non ne ho". E' così Aisha, sferzante e decisa da non farsi certo mettere i piedi in testa, ma anche con un fine senso dell'autoironia, come quando le chiediamo quale futuro vede per il suo paese "Io la ricetta per salvare la Bosnia ce l'ho, dichiariamo guerra alla Germania, quando arrivano con l'esercito ci arrendiamo e lasciamo che ci annettano, così diventiamo Germania! Siamo proprio un paese Fucked Up". Mentre siamo al tavolo passa una ragazza rom che gira tra i tavoli vendendo delle biro, la allontaniamo, ma poi ci ripenso e dico ad Aisha che mi sarebbe piaciuto avere una biro di Sarajevo per scrivere di questo viaggio. Mi prende in giro perché dice che tanto sono costruite in Cina, ma poi fruga nella borsa e alla fine me ne regala una delle sue "Now you've got your pen!".
Le dico che deve essere lei la prima ad usarla, le porgo la mia agenda gialla e in men che non si dica riempie una pagina:
"To my great italian friends with love from Sarajevo!
Wish you all the best and a lot of success!
The world is fucked up place, but we make it a better place with our stories!
You are the special one!
Use your talent wiesly!"
Per sdebitarci di tutto il tempo dedicatoci le regaliamo una rosa, probabilmente presa dalla stessa ragazza delle biro, è felice, molto felice, "i miti si confermano, italiani passionali!" dice.
E' tardi, dobbiamo ancora finire il lavoro di oggi, mentre attendiamo che arrivi il suo taxi ripenso alle mille cose che ancora avrei voluto chiederle, cosciente che queste parole, che pure vogliono essere un ringraziamento, non riusciranno davvero ad esprimere la nostra gratitudine.
Il taxi arriva, lei ci abbraccia ancora più forte di prima e scompare nella notte di Sarajevo.
DIARIO BALCANICO di L. Cometti
GIORNO 0 – “Piccola premessa doverosa”
GIORNO 1 – “Cosa andate a fare a Belgrado?”
GIORNO 2 – “Gli scarafaggi muoiono sulla schiena”
GIORNO 3 – “Le anime di Vukovar”
GIORNO 4 – “La resa di Doboj”
GIORNO 5 – “Leila Thirtyfour”
GIORNO 6 – “Darko”
GIORNO 7 – “Dove la logica si arrende, la Bosnia comincia, Aisha”
GIORNO 8 – “Le bandiere”
GIORNO 9 – “Viaggio in Republica Srpska”
GIORNO 10 – “Decompressione”
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