Il flacone sepolcrale - RELIGIONE. DIO NON E' MORTO
CULTURA E SPETTACOLO - 06 12 2016 -
«Il flacone sepolcrale» è il mio nuovo inventario magico. Il suo nome è tratto dal poema «Le flacon» di Charles Baudelaire, al quale pospongo l’aggettivo «sepolcrale». Dentro la boccetta vitrea di Baudelaire risiedono migliaia di pensieri crisalidi, dimenticati dal tempo; sono fiori appassiti, maledetti: sono i Fiori del Male.
Eppure, talvolta questi pensieri riemergono in superficie, uscendo dal mare scuro come il vino o ridiscendono dagli astri infuocati.
Con il loro profumo inebriante spiccano il volo, muniti di ali «tinte d’azzurro, di rosa ghiacciato, laminate d’oro».
Baudelaire ha osato aprire lo scrigno d’Oriente e similmente farò io; anzi, noi.
Sonderemo gli abissi più profondi, forse non della conoscenza. Ed ecco che quando crederemo di aver colto l’essenza di quei pensieri cristallizzati nei secoli, come suole essere la salgemma preziosa nelle grotte di Salisburgo, la Vertigine ci spingerà verso «una voragine oscura di miasmi umani».
Ho sempre provato immensa fascinazione per i simboli. Adoro osservare il mondo attraverso un velo. Il velo di Maya? Perché no.
Do forma alle cose, ai pensieri, al cosmo… Ma così va a finire che divento Dio!
Non preoccupatevi, non leggerete le parole di un megalomane (o forse sì?).
RELIGIONE. DIO NON È MORTO
“Erano tempi belli, splendidi, quando l’Europa era un paese cristiano, quando un’unica Cristianità abitava questa parte del mondo plasmata in modo umano; un unico, grande interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno spirituale” (La Cristianità o Europa, Novalis)
Tornare agli arbori di un Passato glorioso presuppone un ritorno a Cristo ed al suo messaggio di fede e d’amore paterno.
Leggendo le Sacre Scritture si ha sovente l’impressione di dedicarsi all’analisi di una splendida poesia, di giacere in un nido di rose o tra stoffe pregiate di morbido velluto rosso. Persino le celebrazioni liturgiche, permeate da un’aurea mistica e regale, immerse in nembi di incenso odoroso e pungente, entro uno spazio definito da possenti murature gotiche, riscaldato da ceri bianchi, purissimi, oramai consumati dalla fiamma vermiglia che arde, il cuore è rapito. Gesù siede in mezzo alla folla, tra i più deboli ed i più soli, in un mondo tetro ed oscuro, grottesco ed indifferente.
Talvolta avviene di varcare la soglia di una cappellina affrescata da tinte celesti e soavi o di entrare in una chiesa che appare distintamente nello squallore e grigiore quotidiano delle nostre città. Osserviamo i fedeli assorti nella meditazione e nella preghiera: vi è qualcosa di commovente in tutto questo. Quivi gli uomini emanano calore e fratellanza, poiché non esistono barriere nella Dimora di Dio.
Pertanto, il fedele appare essere stato bannato dalla società: un ordine costituito in cui si è perduta non dico la fede, ma la spiritualità ed il misticismo. Una voragine infernale ci ha ricondotto nei meandri abissali del Medioevo (non per quanto concerne la religiosità, certamente), laddove le donne pie solevano ritirarsi presso i chiostri dei conventi, dedicandosi ad un’intensa e fervida attività di produzione culturale.
Similmente, oggidì, il fedele si raccoglie in se stesso, custodendo la Parola divina entro la fortezza inespugnabile del proprio cuore. Dio muore all’ombra delle strade, degli ospedali e degli orfanotrofi. Ma Dio è realmente morto? Dentro ciascuno di noi sopravvive un’immagine algida e pietrificata, inserita in un’atmosfera lunare e persino tenebrosa di Christus patiens, revocando il Cristo risorto del Bramantino.
Il Cristo triumphans di Piero della Francesca non è presente nel nostro animo penitente. Eppure Dio è in ogni atto d’amore puro e sincero, si cela ancora tra la folla, ma non possiamo intenderlo per il rumore che vige in ognuno di noi. Analogamente all’edera che si abbarbica lungo le pareti scoscese della roccia cinerea, delle serpi colorate e velenose si attorcigliano lungo i fianchi degli uomini. Vi basti leggere le parole di Dante, il quale osservò le anime misere e lasse dei ladri e di Vanni Fucci.
L’umanità torni, dunque, a predicare l’amore, abbattendo le mura della sempiterna città di Troia o dell’immaginaria Città del Sole di Campanella o, ancora, parlando di Medioevo, della cité des dames figurata da Christine de Pizan.
Alessandro Cantoni
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