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Santo natale 1819: l'altar maggiore perduto e il regalo dei tiranesi

CULTURA E SPETTACOLO - 07 12 2017 - Ivan Bormolini

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Il prevosto Andres

FRA ARTE PERDUTA E VICENDE STORICHE NELLA PARROCCHIALE DI SAN MARTINO

Durante le prossime festività natalizie, i fedeli parrocchiani di Tirano certamente rivolgeranno un occhio alla grandiosa scena della natività realizzata agli inizi del 900 dal pittore Luigi Morgari.

Certamente anche l'altare maggiore sarà addobbato ed illuminato a festa; certo quest'ultima è una grandiosa opera marmorea, ma cosa c'era prima, e soprattutto che patrimonio artistico è andato perduto?

 

La chiesa di San Martino, durante e soprattutto nella prima metà del 600, era stata al centro di numerose opere che avevano visto come principale promotore l'allora parroco Gregorio Rinaldi.

Lo stesso, deceduto il 31 luglio 1662, non aveva potuto ammirare la definitiva bellezza delle opere in cantiere. Il suo successore, Giovanni Maria Parravicini di Ardenno, nominato sesto parroco di San Martino il 12 novembre 1662, era seriamente motivato a concludere i lavori iniziati dal suo predecessore e proporne degli altri.

 

Le fonti consultate mi confermano che gli interventi di quel periodo non avevano interessato l'altar maggiore. Questa parte della chiesa era costituita da un ciborio a tempietto in legno risalente alla fine del '500. Per ciborio intendiamo una parte di arredo liturgico cristiano, ovvero una struttura sovrastante l'altare.

Questa tipologia architettonica, nel '600, era denominata anche tabernacolo, anche se in realtà le opere di questo tipo racchiudevano il vero e proprio tabernacolo.

 

Già nel 1629, anno di nomina della parrocchia a collegiata, il vescovo di Como Lazzaro Carafino giudicava necessario intervenire sul ciborio, ed anche il visitatore apostolico della Valtellina Federico Borromeo, presente a Tirano nel luglio del 1664, aveva dato interessanti e forse decisivi consigli in merito. Tra le due visite erano però trascorsi 35 anni!

 

Da qui faccio alcune considerazioni: era possibile che la struttura dell' altare maggiore non fosse più idonea e mal si incorporasse con i lavori effettuati in quell'epoca? Oppure ancora viene lecito chiedersi se il vecchio altare non fosse considerato più degno di una chiesa, che in quel particolare momento storico, stava assumendo particolare importanza.

Considerando entrambe le ipotesi veritiere, si deduce che il prevosto Parravicini era intenzionato a procedere per un imponente intervento in tal senso.

Lo stesso Parravicini, assieme al canonico aveva contattato l'artista Pietro Antonio Ramus di Edolo perché questi realizzasse il nuovo ciborio ligneo.

 

Siamo nel 1665, esattamente un anno dopo la visita del Borrmeo. Ramus, residente a Grosotto, era notissimo, in valle e non solo, per le sue doti professionali ed artistiche e lo stesso era conteso da molti proprio per la sua grande maestria nel realizzare altari e cibori lignei.

 

Tralascio a questo punto tutti gli aspetti burocratici e materiali della vicenda. Il Ramus aveva accettato di realizzare il nuovo ciborio ligneo e con l'aiuto del fratello Domenico ed alcuni garzoni, già il 27 ottobre 1671, era prossimo alla conclusione della grandiosa opera.

A quel punto era stata istituita una giuria di stimati tecnici altamente competenti che aveva valutato il lavoro del Ramus nella cifra di 3625 lire, uno somma cospicua che dimostra quanto fosse artisticamente importante l'opera.

L'anno successivo, per far posto al nuovo tabernacolo, si era venduto il vecchio al prevosto di Ardenno per una cifra paria 1350 lire. Con annotazione del 2 marzo 1673, veniva dato l'incarico a Giovan Pietro Fogaroli di Bormio, per compiere le opere di doratura del nuovo ciborio.

 

Ma com'era questo ciborio? Sicuramente si trattava di un grande apparato artistico, tanto che storici ed artisti delle nostre epoche, che ben hanno studiato la questione, non esistano a definirlo come "maestoso", chiedendosi anche perché nulla più oggi sia rimasto nell'apparato dell'altar maggiore.

Che il ciborio di cui si era dotata la parrocchiale fosse un'opera di grande maestosità ce lo testimonia anche la cifra pagata a Fogaroli per l'indoratura, ovvero 1250 lire.

Oltre a questo, negli anni successivi l'altare era stato ulteriormente arricchito inserendo un fregio dorato e rendendo ancora più notevole il suo impatto artistico.

Si erano poste le porte del coro sormontate da una statua ciascuna e si erano aggiunte le sei statue commissionate a Giovan Battista Zotti.

 

Il vescovo di Como Carlo Ciceri, nel 1681 scriveva sulla nostra chiesa: “ Era di fabrica nova, e non aveva bisogno di altre operazioni per Hora”.

Su quel “per hora” mi sono posto alcuni interrogativi, già all'inizio del 1800, esattamente nel 1817, si parlava con fervore di un nuovo altare maggiore che sostituisse l'opera del Ramus.

Oggi sappiamo benissimo quali siano gli sforzi per restaurare opere artistiche e religiose che hanno secoli di vita: in quelle epoche non ci si badava?

 

Analizziamo le date: si scopre che l'operazione inerente ad un nuovo altar maggiore prendeva le mosse solo dopo 136 anni dalle esternazioni del vescovo Ciceri. Solo 136 anni! Cosa sarà mai successo per decidere di compiere un nuovo intervento così radicale?

In questo contesto va affermato che era moda e costume del periodo settecentesco ed ottocentesco di prediligere agli altari lignei quelli in marmo. Così infatti era stato per alcune chiese valtellinesi, tra le quali il santuario Mariano di Madonna di Tirano. I deputati del santuario, infatti, avevano rimosso già nel 1748 il vecchio altare ligneo cinquecentesco per realizzarne un altro in lucidissimo marmo di Varenna intarsiato.

 

Veniamo ai fatti: sostituire l'opera del Ramus con un nuovo altare in marmo era un grande passo per la nostra chiesa parrocchiale, oserei dire enorme. A compiere definitivamente questa scelta era stato il prevosto Gian Antonio Andres; viene da chiedersi se il prevosto e gli altri membri della chiesa, parrocchiani compresi, si fossero posti il dubbio che con questa decisione si andava a smantellare definitivamente un grande capolavoro.

 

E' certo che il ciborio del Ramus, avesse bisogno di qualche intervento di restauro e forse il prevosto ci aveva pure fatto qualche ipotesi, scopro infatti che l' Andres era perfettamente consapevole del valore del ciborio esistente, ma non aveva pensato ad eventuali interventi di restauro. Egli stesso infatti era affascinato dalle usanze artistiche del tempo, ovvero la realizzazione di altari in marmo.

 

Il prevosto era certo che per la parrocchiale di Tirano, era necessaria un'opera che si configurasse nella nobiltà del borgo, uno dei più importanti della provincia. Anche i tiranesi sembravano sposare l'idea di un radicale intervento ed avevano risposto con ampio fervore all'idea di un nuovo altare in marmo di cui potevano godere già nel Natale del 1819.

 

IL NUOVO ALTAR MAGGIORE IN MARMO - Leggo tra le fonti che il prevosto Andres aveva una certa ansia, voleva dotare la chiesa del nuovo altare in marmo. Tuttavia era necessario fare i conti con ristrettissime finanze, così il prevosto aveva fatto ricorso “alla religiosa generosità dei Signori, dei Possidenti della Parrocchia”.

Tirano o meglio i tiranesi, avevano prontamente risposto all'invito e la somma raccolta era alla fine ragguardevole in quanto ammontava a ben 5850 lire.

Con questa cifra a disposizione si poteva dare l'incarico per il progetto che era stato affidato nel 1817 all'architetto Giovanni Maria Pianta di Milano.

 

Il professionista in questione era già molto conosciuto in loco, in quanto aveva disegnato il nuovo altare dell'Apparizione nel nostro santuario. Il Pianta non aveva posto indugi, in breve tempo aveva realizzato quattro disegni con relative didascalie per illustrare ai committenti ed agli esecutori la proposta.

Presa la decisione, non si era voluto perdere tempo, e ben presto si è passati ai fatti. L'anno successivo i fabbricieri si erano rivolti a Gabriele Longhi, lo stesso che nel 1802 il nuovo altare dell'Apparizione, sempre come già detto su progetto del Pianta.

Pur accettando di dare vita al nuovo altare maggiore in marmo, purtroppo il 17 novembre del 1818 il Longhi moriva stroncato da una malattia infiammatoria.

 

Il lavoro era stato poi affidato a Tommaso Pellegatta con un nuovo contratto stipulato a Tirano il 7 dicembre 1818. Era trascorso dunque un anno dal nuovo incarico e quindi la chiesa si poteva definire dotata di un nuovo e ricco altare marmoreo. La struttura si presentava con alcune differenze rispetto all'altare dei giorni nostri, lo si evince chiaramente anche dal disegno dell'architetto Pianta che qui proponiamo. Per nuovi cambiamenti sulla struttura dell'altar maggiore si dovrà attendere ancora circa un secolo con gli interventi decisivi avvenuti tra il 1915 ed il 1918.

 

Ivan Bormolini

 

FONTE: La Chiesa di San Martino in Tirano. Autori Gianluigi Garbellini e William Marconi. Stampa Tipografia Bettini Sondrio.

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