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Concessioni idroelettriche in stallo: Investimenti o perdita di sovranità energetica?

ECONOMIA E POLITICA - 18 10 2024 - Silvano Marini

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/lettera aperta

È realistico ipotizzare che non ci siano aziende idroelettriche interessate entro il prossimo 18 ottobre (termine di scadenza) a presentare in Regione le offerte per la gestione di n. 2 concessioni idroelettriche scadute da anni.

 

I gestori attuali Edison e A2A, oltre agli gli eventuali competitor che vorranno subentrare, dovranno valutare se è conveniente il “prezzo” di 395 e 76 milioni da versare alla Regione, attuale proprietaria,  per ottenere la gestione trentennale di n. 3 impianti idroelettrici (quello di  Esine in Valcamonica  con potenza  concessa di 4mila Kw ma installati di 12mila, oltre a quello valtellinese di Campo a Novate Mezzola e comasco a Dongo, associato alla stessa concessione di 19mila  Kw, ma con potenza installata rispettivamente di 38mila kw Campo e 15mila kw Dongo). Potenze che se vengono sommate, per farci un’idea, sono sufficienti ad alimentare 25mila utenze domestiche con un assorbimento al contatore di non più di 3 kw, limite oltre al quale “scatta”. Il bando competitivo è un test che verifica se la riassegnazione con il rispettivo valore stimato dalla Regione (prezzo) della concessione è realistico rispetto al mercato, che si regge, come sappiamo, su tre parametri: andamento dell’economia, accesso al credito e costo del danaro, e rapporto tra domanda e offerta.

 

A questo punto del discorso, date le premesse economiche, mi pare che non ci sarà nessun assalto alla cassaforte idroelettrica perché il futuro, anche per il settore dell’energia, non è più una promessa essendo in una fase di transizione. Ammortizzare ogni anno 15 milioni di euro sul conto economico per 30 anni di produzione elettrica ceduta alla rete con una contrattazione su base oraria a un prezzo all’ingrosso oscillante per ragioni anche geopolitiche, mette le aziende private non al riparo da un fallimento.

 

Il discorso è diverso per le aziende elettriche partecipate dallo Stato o enti locali che con le tasse e altri artifici contabili sono in grado di coprire le eventuali perdite.

 

Il business mondiale dell’energia è un labirinto fortificato che anche la politica ad ogni livello non riesce a dimensionare. Il business dell’idroelettrico, in primis, non mette la sicurezza dei minacciosi bacini artificiati oramai degradati dal tempo, perché è più attento alla finanza e alla “cattura” di tecnici, politici e comitati promozionali che gravitano attorno all’energia.

 

In conclusione, il Bancomat dei canoni e sovra-canoni di compensazione che la Regione ridistribuisce agli enti locali andrebbe calcolato non sulle potenze medie di concessione (700 mila euro annuo per 1 Mw di concessione), ma riferito al valore effettivo dell’energia elettrica prodotta e misurata con un contatore.

 

Già nella prima rivoluzione industriale l’economista inglese Stanley Jevons sosteneva che il destino della Nazione non è nelle mani degli statisi bensì dei proprietari delle miniere di carbone. Ragionamento analogo a quello che si fa oggi per comprendere l’importanza dell’energia idroelettrica. E’ il presupposto per consentire all’ italica Nazione, industrializzata sì, ma con un deficit energetico del 70% (importato e pagato)  di rimanere competitiva in Europa e nel modo     . Per i motivi evidenziati penso che concedere la gestione della “miniera” idroelettrica ad anonimi fondi di investimento, privati o sovrani, che sono interessati solo al profitto non sia cosa buona e giusta. Perderemmo, così, la nostra sovranità perché ricattabili.

 

Silvano Marini     

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