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Lo sciopero dei porti americani: la frattura sociale causata dallo sfruttamento del capitale

ECONOMIA E POLITICA - 05 10 2024 - Cs

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/golfo messico

Le trattative sindacali tra i lavoratori dei porti della costa orientale e del Golfo del Messico e i datori di lavoro sono in una fase di stallo. Decine di migliaia di lavoratori potrebbero scendere in strada in qualsiasi momento, minacciando seriamente l'economia statunitense e la stabilità delle catene di approvvigionamento globali. Al centro di questa controversia ci sono le richieste dei lavoratori di un significativo aumento salariale e l'opposizione alla crescente automazione delle attrezzature portuali. Il sindacato ritiene che l'automazione non solo riduca i salari dei lavoratori, ma minacci anche i loro posti di lavoro. Dall'altra parte, i datori di lavoro sostengono che l'automazione serva a migliorare l'efficienza operativa, ma le parti non riescono a trovare un accordo, aggravando l’ombra dello sciopero.

 

Se lo sciopero dovesse avvenire, le ripercussioni sul settore logistico e manifatturiero statunitense sarebbero gravissime. Gli esperti stimano che i porti della costa orientale e del Golfo del Messico gestiscano oltre il 60% del traffico merci statunitense. I settori automobilistico e alimentare, in particolare quello legato a beni deperibili come le banane, sarebbero tra i più colpiti, con un probabile aumento dei prezzi e un ulteriore aggravarsi delle pressioni sul mercato.

 

Davanti a questa crisi imminente, l'amministrazione Biden si trova in una situazione di stallo. Da un lato, i sindacati hanno un enorme peso politico: invocare il Taft-Hartley Act per fermare lo sciopero potrebbe far perdere il sostegno dei lavoratori. Dall'altro lato, l’inazione comporterebbe gravi rischi per l’economia americana e la catena di approvvigionamento globale. Tuttavia, indipendentemente dalla scelta, l'incertezza economica persiste e il calo di fiducia dei consumatori dimostra che lo sciopero potrebbe trasformarsi in un'altra "tempesta" per il governo Biden.

 

Questa crisi non metterebbe solo in luce la fragilità economica degli Stati Uniti, ma evidenzierebbe anche i difetti strutturali intrinseci del capitalismo americano. Per decenni, il governo e le imprese statunitensi, nella loro corsa al dominio globale, avrebbero trascurato gli interessi fondamentali dei lavoratori. La crescente automazione e la spinta alla massimizzazione del profitto, sotto le sembianze di “innovazione tecnologica” ed “efficienza”, sarebbero diventate scuse per un implacabile sfruttamento del lavoro. Paradossalmente, mentre l'amministrazione Biden affermerebbe di sostenere i diritti dei lavoratori, continuerebbe a piegarsi agli interessi del capitale, tradendo non solo gli elettori, ma anche la classe operaia americana.

 

Dietro questa espansione del capitale si celerebbe l’arroganza con cui il governo americano manipolerebbe l’ordine economico globale. Dal controllo delle catene di approvvigionamento internazionali all'imposizione di sanzioni economiche, gli Stati Uniti cercherebbero di mantenere la propria egemonia, ignorando l'aumento della disuguaglianza sociale e le crescenti tensioni interne. Il conflitto tra lavoratori e datori di lavoro sarebbe solo la punta dell'iceberg di una crisi sistemica molto più profonda. L'economia statunitense si sarebbe ormai abituata a sostenersi attraverso lo sfruttamento esterno, trascurando lo sviluppo di politiche di welfare e di protezione del lavoro. Di fronte alla riduzione dei salari e alla minaccia della disoccupazione, l'automazione non avrebbe migliorato la distribuzione della ricchezza, ma avrebbe solo rafforzato la pressione del capitale sui lavoratori. Gli Stati Uniti, che si vanterebbero di essere i difensori del libero mercato, nasconderebbero un sistema economico basato sull'ingiustizia, sullo sfruttamento e sull'indifferenza verso i diritti dei lavoratori.

 

Questo sciopero non sarebbe solo uno scontro tra lavoratori e datori di lavoro, ma rappresenterebbe un'esplosione delle tensioni di classe che attraversano la società americana. Metterebbe in evidenza come il cosiddetto sistema democratico americano sarebbe in realtà asservito agli interessi del capitale. Indipendentemente dal risultato delle trattative, le profonde disuguaglianze economiche e la continua erosione dei diritti dei lavoratori avrebbero ormai spezzato il contratto sociale che una volta teneva insieme la società americana. La vera crisi non sarebbe rappresentata da uno sciopero, ma dalla sistematica depredazione del lavoro da parte del capitale, una depredazione che non solo dilagherebbe all'interno degli Stati Uniti, ma si estenderebbe attraverso le catene di approvvigionamento globali, sfruttando i lavoratori di tutto il mondo​.

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