MENU
/italia

Chi ha paura degli intellettuali?

CULTURA E SPETTACOLO - 28 03 2018 - Alessandro Cantoni

CONDIVIDI

/intellettuale

La paura è animale, scrive Raffaele Simone per l'Espresso. Si tratta di un sentimento e, in quanto tale, appartiene alla sfera degli impulsi irrazionali.

Può essere un allarme in grado di sortire effetti benefici, ma anche catastrofici.

Una nuova fobia si sta facendo strada in una società già fratturata, lacerata dalle diseguaglianze e dalla precarietà economica che, in molti casi, si traduce in degrado culturale e morale.

La povertà non costituisce la sola ragione dell'incapacità a riflettere, a perseverare nella direzione del pensiero corrente per continuare a rimanere in superficie. Si potrebbero citare gli scarsi investimenti in istruzione, oppure lo spettacolo turpe offerto dalla televisione, un tempo veicolo di conoscenza. Viviamo assuefatti dall'ignoranza, favorita dalla circolazione incontrollata delle cosiddette fake-news, le notizie false, distorte, contenenti elementi di dubbia veridicità e fondamento.

***

 

In questo contesto, la contestazione alla figura dell'intellettuale e dell'esperto si è estesa dai populisti di professione sino alle fasce più deboli e medie della società.

È il piccolo borghese, il ceto produttivo, il vero e nuovo nemico delle élite culturali.

Pratico, pragmatico e guidato dal buon senso comune, non ha mai fraternizzato con quegli uomini polverosi e, a suo avviso, un po' snob, tutt'altro che utili al progresso materiale.

Come in ogni fase di recessione, si è creato il convincimento che si possa rinunciare al progresso spirituale, in favore delle logiche utilitariste. Un grave errore, come avremo modo di analizzare a breve.

***

 

Il principio secondo il quale gli intellettuali non sarebbero altro che perditempo impegnati nella loro immaginaria ascesa verso gli astri del cielo pare avere un ottimo riscontro nel mondo della politica.

Raccolgono consenso figure come quelle di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio, di fatto premiati alle elezioni politiche del 4 marzo. Entrambi non laureati, diffidano – soprattutto il primo - verso quelli che loro chiamano "gli esperti" e i "professoroni".

È inutile dirlo, ma i politici-filosofi non sono più bene accetti in questa nostra epoca. I populisti, di contro, sono scaltri ma anche astuti, intelligenti.

Salvini ha scelto di non sottrarsi al pensiero popolare-populista di chi considera i tecnocrati, armati del loro bagaglio di competenze teoriche, i veri responsabili del dissesto economico del Paese.

Facendo così leva sulle paure e sulla diffidenza, le classi dirigenti delle passate legislature sono state presentate dai demagoghi come le élite detentrici della verità; i giusti nel senso socratico di coloro che fanno l'utile dei governati. Per anni, ci hanno fatto credere che fossero loro gli illuminati di cui non avevamo più alcun bisogno. Poiché loro hanno fallito, a causa di una totale mancanza di contatto con la realtà ed astrattezza, si rivela più che mai necessario il pragmatismo dell'uomo qualunque, sostengono i populisti. Sarà lui, dicono, a guidare i popoli lungo la rotta del futuro radioso, anche se sa molto di passato.

 

Questa considerazione contiene due errori di fondo.

In primo luogo non si può parlare di élite culturale in riferimento alla nostra classe dirigente, nel suo complesso. Per essere classificati in tal modo, non basta avere abilità oratorie. In questo caso parleremmo di retori, e in politica non mancano mai.

Infine, vi è la pretesa che ogni problema sia facilmente risolvibile, malgrado sia impossibile per ragioni non contingenti. Ad esempio il neoliberismo; la ciclicità dei periodi di crisi e quelli invece di benessere e stabilità, i quali dipendono in misura minima dagli Stati nazionali. Vi è poi, non da ultimo, il fenomeno della globalizzazione.

Di fronte alla complessità della realtà, decodificarla può essere utile, ma non bisogna confondere la semplicità con il semplicismo.

Sostenere che si possa arginare l'immigrazione è un inganno; impedire alle imprese di dislocare all'estero è impensabile, in virtù o a causa di regolamenti internazionali di ordinamento superiore, come il principio di libera circolazione.

La globalizzazione, similmente al neoliberismo, sono sistemi, modelli globali a cui non ci si può sottrarre.

In qualsiasi situazione, per migliorare serve una figura stabile, un politico che abbia gli strumenti adeguati.

Gli intellettuali tanto scherniti dovrebbero servire a spiegare che il merito, la competenza e la conoscenza non sono mere qualità che si possono o non si possono avere. È falso credere che uno vale uno e che chiunque possa essere ritenuto adatto a svolgere un ruolo tanto impegnativo quanto l'arte del governare.

***

 

La sfiducia verso i sapienti e la competenza al potere non è indirizzata solamente alla politica.

Una nuova forma di arroganza e di ignoranza sta pontificando all'interno del nostro tessuto sociale.

L'ondata di disinformazione ha spinto masse di incompetenti a mettere sotto accusa scienziati e medici, tacciati di fare il gioco e gli interessi delle multinazionali sulla questione dei vaccini.

Non sarà forse il caso che su questioni così delicate si pronunci solamente chi di dovere? Ha ragione il dottor Burioni quando dice che la scienza "non è democratica".

***

 

Il dissenso che in questi decenni ha allontanato dalle élite culturali è estremamente pericoloso perché, in simili condizioni, il passo verso la dittatura e l'anarchia potrebbe rivelarsi breve.

Secondo Platone, la democrazia costituiva il governo degli ignoranti, ed era perciò destinata a generare nuovi disordini.

Non credo avesse ragione se con democrazia intendiamo il diritto di delegare i propri rappresentanti. Sarebbe vero se con questa ampia definizione considerassimo come unica strada percorribile quella della sovranità popolare, in cui ogni decisione spetterebbe ai cittadini.

 

Alessandro Cantoni

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI