La bocca amara di Michele Corleone
CULTURA E SPETTACOLO - 10 03 2019 - Alessandro Cantoni
Viviamo nell’epoca della pop art, dove ogni istante successivo al precedente è già vecchio, è già storia antica. Dove tutto passa senza lasciare la sua traccia, come un fiume di parole, di musica e di suoni. Un Ed Sheeran o una Sia qualunque (non è un caffè shakerato o un acronimo della Cia. Sono due cantanti) bucano gli schermi e i timpani per un mese, salvo poi precipitare nel grande marasma dei perfetti sconosciuti. Cosa resterà di questi anni Duemila? Probabilmente un brusio confuso. Cosa è restato, invece, degli anni Ottanta, ma anche Settanta e Sessanta? Molto, forse moltissimo. La sua moda eccentrica e sgargiante, gli arrangiamenti di Vasco, dei Foreigner, dei Secret Service. E poi ci sono le pellicole cinematografiche, i film patacca ma anche i pezzi che hanno fatto la storia e continuano a trionfare persino in tempi così caotici e corrotti. Cinquant’anni fa, il 10 marzo del 1969, veniva distribuito nelle librerie il bestseller di Mario Gianluigi Puzo: il Padrino. Di lì a poco un genio artistico, il regista Francis Ford Coppola, intuì che da quel romanzo si sarebbe ispirata una delle pellicole più avvincenti della storia del cinema. Correva l’anno 1972 quando Coppola chiamò ad Hollywood i più tenaci e abili attori d’America, da Marlon Brando a Robert De Niro e Al Pacino. Nomi destinati a rimanere impressi nella memoria delle generazioni a venire, persino quelle dei pischelli come me. COME IL PICCOLO PRINCIPE Molti di noi hanno a casa una copia del Piccolo Principe. Forse ve ne siete dimenticati, ma cercate bene in qualche angolo della libreria, e il racconto di Antoine de Saint-Exupéry balzerà subito alla vostra vista. È un libricino con in copertina l’immagine di un fanciullino e l’inconfondibile calligrafia del titolo. A scuola ci hanno insegnato di rileggerlo almeno ogni cinque anni per scoprirvi qualcosa di nuovo: un messaggio, un particolare che parla al cuore dei bambini, degli adulti e dei meno giovani. Anche il Padrino ha tante facce. Ma soprattutto un sapore. Ogni cosa ha il suo retrogusto. Pregustandolo, mi accorsi che aveva lasciato in bocca un’essenza dolce e voluttuosa. Ero completamente affascinato dalla scenografia, curioso di penetrare l’animo, la psicologia dei personaggi. Mi lasciai incantare da Michael Corleone, sempre impeccabile e principesco: la mia maschera ideale, ciò che avrei voluto essere e non potevo, non volevo diventare. Mi ripugnava quel garbo, quell’uso incondizionato dalla ragione «sostenuta dall’omicidio». IL DRAMMA, LA TRAGEDIA Con il tempo, quel sapore dolce e inebriante si fece sempre più amaro, fino a diventare bruciante, sgradevole. Dietro a quella storia c’era il dramma di un uomo, Micheal, figlio di Vito Andolini, detto Corleone. Un ragazzo, allora poco più che trentenne, catapultato in una realtà più grande di lui. Perderà l’amatissima Apollonia Vitelli e persino Kay, spaventata dai metodi violenti di suo marito. Micheal morirà solo, in un paese della Sicilia, a Bagheria, lontano dagli affetti e dalle persone che ha amato. È questo il prezzo da pagare. Il prezzo per la vita che ha scelto. A nulla valgono i rimorsi e i rimpianti degli ultimi anni. Le lacrime non serviranno a riportare in vita la figlia Mary, ammazzata per errore da Mosca, un uomo di Don Altobello, sulle scale del teatro Massimo di Palermo. LA STORIA Un discorso a parte merita il valore storiografico dell’opera di Mario Puzo. Due sono le vicende rievocate: la prima riguarda la rivolta del Lìder Maximo e la fuga di Fulgencio Batista, dittatore cubano fino al 1959, anno in cui il governo nazionalista venne rovesciato dai castristi. Negli anni Cinquanta, la presidenza di Batista aveva portato Cuba ad una prosperità senza precedenti, ma anche ad una tolleranza eccessiva verso gli interessi azionari di mafiosi ed imprenditori statunitensi. Molto più curiosa è però la lettura che viene presentata sulla morte di Papa Luciani, passato alla storia con il nome di Giovanni Paolo I. In effetti, a distanza di molti anni, numerose ombre restano su quel tragico 29 settembre 1978. Il papa morì improvvisamente, dopo solo trentatré giorni di pontificato. Tanti i dubbi e le perplessità a riguardo. Da un lato, ci si interroga sul perché non venne eseguita una autopsia in seguito al decesso, avvenuto verso le ore 23. Dall’altro, restano palesi incongruenze tra le testimonianze, prima fra tutte quella della suora Vincenza Taffarel, e il Comunicato del Vaticano, secondo cui «il segretario privato del Papa» lo avrebbe trovato per primo «morto nel letto». Chi avrebbe potuto prendersela con un uomo così semplice, persino più umile di Francesco? Un’anima pia, che diceva di non essere all’altezza del suo predecessore, di non possedere la sua cultura teologica, eppure molto determinato a svelare la verità e gli scandali finanziari che in quell’epoca sconvolsero la Banca Vaticana. Alessandro Cantoni
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