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«Nessun uomo è un’isola», il Con-esserci che abbiamo perso

CULTURA E SPETTACOLO - 14 04 2018 - Alessandro Cantoni

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Heidegger, il «filosofo della morte», come lo hanno definito spregiativamente o semplicisticamente alcuni accademici, torna attuale nell’epoca buia della post-modernità. 
Irrompe nuovamente sulla scena, questa volta non per parlarci di decadimento dell’essere. Ci parla, invece, del con-esserci che non c’è più. 

 

Mi scuso in anticipo con il lettore se sarò costretto ad utilizzare concetti non miei, ma non si tratta di pedanteria, quanto di una necessità. Vi prometto che tenterò di essere chiaro ed efficace, giacché quando si tratta di complessità, la semplicità argomentativa è d’obbligo. 

 

Heidegger aveva cercato di portare a termine un nuovo studio sull’uomo. Un’analisi, quella fornita da Essere e Tempo, lontana da concezioni positiviste o umano-centriche. 
L’uomo viene bensì presentato e considerato nella sua finitezza, tanto fisica quanto concettuale. 
L’essere umano, che Heidegger definisce «esserci» trascende qualsiasi ente, e non perché dotato di intelletto, bensì di un suo «essere esistenziale».
Tale essere non è qualcosa di metafisico, di tangibile, come se si trattasse di una mera esistenza empirica, ma qualcosa di più profondo, da ricercare in tutto il mistero che circonda la vita. 

 

Spero abbiate la pazienza di seguire il mio ragionamento che, in termini teoretici, va poco oltre. 
Questa premessa era tuttavia indispensabile per dire che «nessun uomo è un’isola», per citare il poeta anglosassone John Donne, nonché un simpatico spot televisivo. 
«Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto». Ancora, «la morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità». 
L’uomo non è solo, similmente all’eremita che si ritira; ma vive, permane su questa Terra con gli altri suoi simili, insieme ad altri «con-esserci», poiché stiamo qui, nel mondo, insieme, come una parte del tutto che è l’umanità. 
Ma se questo tutto, il quale non è difforme da un continente, si frantumasse, allora la sua superficie «ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa».

 

Che fine ha fatto, oggi, il «con-esserci»? Intendo: che fine ha fatto quello stare insieme che è proprio degli esseri umani? 
Abbiamo perduto l’altro, ce ne siamo disfatti, quasi fosse un fardello insopportabile. Il peso dell’esistenza, anziché spingerci a simpatizzare, fraternizzare, compatire (ovvero patire-con), ci ha disuniti, facendoci diventare tanti piccoli atolli dispersi nell’oceano. 
In realtà, nuovi compagni ci sono. Si chiamano smartphone e internet. Sono i nuovi mezzi di distrazione di massa, in cui si proietta il nostro io. 
Con essi ci accingiamo a compiere il nostro cammino, virtualmente, senza neppure la gioia di un contatto fisico o verbale concreto. 

Viviamo – anzi, la moltitudine nemmeno vive, ma sopravvive – analogamente alle numerose e piccolissime isole che si possono osservare nell’Atlantico o nel Pacifico. 

 

Persino Heidegger aveva perso la sua rotta. Per lui, il «con-esserci» sembra solamente un presupposto pratico, mentre la via dell’autenticità è impervia e solitaria. 
Il fratello, l’amico, l’altro non possono seguirci, oppure non vogliono starci dietro? Non appare chiaro, sebbene Heidegger sembri sostenere entrambe le soluzioni. 
Eppure, il cammino della vita per lui è pur sempre un percorso eroico, da affrontare da soli. L’altro non è il nemico – in alcuni casi, lo è -, bensì semplicemente il superfluo. 
Persino il grande filosofo, dunque, è caduto nella trappola dell’individualismo. 
Agisce come l’eremita, il quale, sconvolto dall’orrore della contemporaneità, come un saggio Zarathustra sale sulla vetta, fugge in campagna, si immerge nella radura. 

 

Riflettiamoci. Quante volte anche noi preferiamo la beata solitudine, pensiamo a noi stessi, al nostro sentiero, e quanto invece ci avviene di pensare agli altri? Sembriamo farne volentieri a meno. 
L’altro viene percepito come un intoppo, simile a un residuo pietroso che ci ostacola. È più semplice rifuggire dentro di sé.
Meditiamo, però. Si può con-vivere anche senza rinunciare alla propria, preziosa, individualità (non individualismo). Si potrebbe cominciare guardandosi negli occhi, mettendo via, per un momento, quei dannati cellulari, per dirla con Aldo Cazzullo e Umberto Eco; quei dispositivi e tutte quelle armi di distrazione di massa, le quali ci rendono dimentichi del noi e paghi, troppo, dell’io.  
 

Alessandro Cantoni

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1 COMMENTI

14 04 2018 12:04

Méngu

Leggo : “Riflettiamoci. Quante volte anche noi preferiamo la beata solitudine, pensiamo a noi stessi, al nostro sentiero, e quanto invece ci avviene di pensare agli altri? Sembriamo farne volentieri a meno. “ Commento : gentile Alessandro, io riassumerei tutto il suo discorso con i vocaboli semplici e vecchi come il cucco, che si pronunciano FRATERNITA’ e RELAZIONE. Al suo posto in questo mondo post- moderno è apparso il detto “ Ognun per sé e Dio per tutti “. Risultato ? Egoismo, separazione, solitudine, conflittualità. La Vita è soprattutto relazione. Conosce forse qualcuno, così individualista, da essere capace di procurarsi ciò che ha bisogno per vivere da solo o ( ragionando con parole importanti) capace di assumere un atteggiamento filosofico volto ad affermare l’autonomia del singolo ? “ Io no. Chi lo afferma non ha una visione corretta del Mondo.