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Il lavoro giovanile e la sfida delle start up

ECONOMIA E POLITICA - 03 08 2017 - Alessandro Cantoni

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/dissidente doppia intervista

Di fronte alla crescente crisi occupazionale, per le giovani generazioni diventa sempre più complesso trovare un impiego a medio-lungo termine. Cresce la voglia di mettersi in gioco, di rendersi competitivi nel Paese che lentamente langue. Rispetto agli anni della Prima Repubblica, ottenere impiego o successo non è un risultato immediato né scontato. Ma è altresì possibile costruire progetti, lavorando concretamente per il proprio futuro.

Il mondo delle start-up rappresenta una risposta alla sfida, una scelta alternativa, autonoma, per chi vuole fare impresa in Italia. E, perché no, magari ritornando sulle orme degli antichi sapere acquisiti da diverse generazioni, rivalutando le identità culturali locali, come auspicava il professor Ivan Fassin.

Ho provato a sondare due settori strategici: quello dell’economia sostenibile di Francesco Folini e quello dell’informazione con Marco Travaglia.

 

 

Marco Travaglia

Direttore del quotidiano Intorno Tirano e capo-redattore del giornale Il Bernina nel Canton Grigioni.

Io e il direttore ci conosciamo molto bene. Da tempo mi capita di collaborare con il suo giornale. È un uomo posato, molto affabile e cordiale. Come sempre avviene quando dobbiamo discutere, mi accoglie nel suo studio e mi mostra le foto dei suoi bambini. Ai lati della stanza, conserva due scaffali, con i libri ordinatamente impilati. Sulla scrivania, un volume nero focalizza la mia attenzione. L’arte occidentale della guerra è il titolo. Scopro in lui, oltre ad un raffinatissimo cultore del giornalismo, un uomo introspettivo, amante dell’antropologia e di psicologia.

Dopo una breve chiacchierata informale, ha inizio la nostra discussione.

 

Qualcuno, di recente, ha definito il nostro Paese la Repubblica dei voucher. Mi riferisco al sindacato della CGIL. Quel che appare certo, è che la disoccupazione giovanile ha ormai raggiunto la soglia del 40%. È d’accordo con chi sostiene che le start-up possano rappresentare una svolta nel mondo occupazionale?

Decisamente sì, visto che si tratta di aziende nuove e che quindi creano nuovi posti di lavoro.

 

Lei gestisce da diversi anni un quotidiano di informazione, Intorno Tirano. Ci parli della sua esperienza. Com’è nata la sua iniziativa?

Il giornale è stato lanciato quando mi sono laureato. Il progetto della mia tesi è stato, appunto, il lancio di un quotidiano online che riguardasse Tirano e i suoi dintorni. In quel momento non esisteva un giornale (digitale N.d.R.), per cui ho pensato che potesse trattarsi di uno sbocco occupazionale.

Non è stato semplice, perché ci sono voluti ovviamente anni prima che il giornale si affermasse, e non è facile tutt’ora a livello economico, dato che ho sempre dovuto fare un secondo lavoro. Ho fatto il lavapiatti, ho fatto lezioni private fino a quando ho avuto la fortuna di trovare lavoro in Svizzera, in Valposchiavo, dove faccio il giornalista. Unisco i due lavori e i due redditi, diciamo.

 

Quindi non è stato sufficiente fare un solo lavoro. Bisognava integrare con un’altra occupazione…

Allora… diciamo che è difficoltoso, perché essere da solo a fare un’attività di questo genere richiede la somma di diverse competenze…

 

Ad esempio?

Giornalistica – anche se io non sono iscritto all’Albo -, contabile e di marketing. Devi curare il lato pubblicitario... Bisognerebbe essere onnisciente per affrontare tutti i diversi aspetti!

 

Non basta, dunque, la competenza giornalistica

No, tra l’altro i primi siti li ho fatti io. Servono dunque anche competenze informatiche.

 

Vuole spiegare ai giovani appassionati di giornalismo, come è possibile ottenere degli incentivi ed un sostegno economico per la loro attività?

In realtà non ho ottenuto finanziamenti. Il giornalismo eslusivamente online, che io sappia, non ha finanziamenti… Bisogna creare tutto da zero, a meno che si rientri in qualche progetto finanziato da qualche bando. Però sono bandi occasionali. Esclusi i giornali cartacei, non ce ne sono.

 

Dunque non c’è un ricavo oggettivo per i giornali online…

I ricavi derivano tutti dalla pubblicità.

 

E quindi occorre un importante lavoro di marketing e sponsorizzazione.

Sì.

 

Veniamo al nuovo giornalismo, che sta nascendo negli ultimi anni. Quanto è importante nel mondo dell’informazione digitale promuovere un’idea alternativa di giornalismo?

Il giornalismo moderno è sicuramente più veloce. Sono cambiate le abitudini culturali, e le persone sono abituate a leggere in modo diverso: più veloce e, se vogliamo, più semplice, con l’ausilio di foto e video. Questa può essere un’arma a doppio taglio, perché semplificare non è sempre la cosa migliore…

È importante se va incontro alle tendenze culturali.

 

Viviamo in un’epoca in cui abbondando le cosiddette fake news. Dobbiamo preoccuparci?

Il discorso delle fake news è interessante perché riguarda la fiducia che hanno i giornali, i siti che fanno informazione. Spesso è l’utente stesso che non controlla la fonte, e questo è il principale difetto. Se la notizia viene pubblicata dal Corriere della Sera posso stare sicuro che l’informazione è seria. Se arriva da un sito di cui non conosco il nome è bene che ci sia…

 

Un accertamento, una verifica…

Sì, le fake news sono preoccupanti se arrivano da fonti di informazione che godono di ampia fiducia. Se arrivano dai siti di persone che si divertono a fare queste cose, è un problema degli utenti.

 

Il DNI, ovvero il Digital News Initiative, sostiene da alcuni anni progetti di innovazione per il giornalismo digitale. In Germania, ha avuto successo il portale Tagesspiel Causa, che invita politici ed esperti a discutere circa le tematiche più controverse. Anche i lettori svolgono un ruolo attivo nel dibattito. Google ha infatti stanziato oltre 70 milioni di euro per più di 350 progetti in 29 Paesi europei. Quali pensa che siano le strategie per proporre un’idea alternativa del giornalismo, in Italia?

Il giornalismo è cambiato perché ci sono nuovi mezzi di informazione. I social media, potenzialmente, permettono un’interazione con l’utente. Questa strategia è già in atto. Ci sono utenti che segnalano notizie, inviano foto…

 

Che cosa consiglia ai giovani che si accingono ad entrare nel mondo lavorativo e che, come lei, vorrebbero inventare una piattaforma di informazione online?

Come dicevo, per farlo si ha necessità di avere diverse competenze. Se si ha un sogno e si pensa di essere portati, di avere talento in quella direzione, ovviamente è giusto perseverare.

 

 

Francesco Folini

Azienda Agricola Folini - Vitivinicolo con agriturismo Chiuro (SO)

Ci diamo appuntamento nella sua azienda agricola. Francesco è un ragazzo buono e molto disponibile. Anche la sua famiglia è accogliente e calorosa.

Mi offrono il benvenuto nel loro agriturismo, a Chiuro, e dopo una visita alle cantine, ci sediamo ad un tavolo grande a discutere di vitivinicoltura e della complessa situazione economica del Paese. Assaggio i suoi vini, deliziosi, e mentre discuto con il papà di Francesco, un uomo austero, ma di grande spirito, scopro la sua immensa abilità di intagliatore, scultore ed intarsiatore. Non è solo l’amore per ciò a cui sono dediti ad unire questa deliziosa famiglia, bensì un profondo attaccamento alle tradizioni ed alla cultura locale «da difendere ad ogni costo», mi dice Renato. Concordo. Pasteggiamo amichevolmente e, dopo un ottimo pranzo, ha inizio la nostra conversazione.

 

In questi ultimi anni, abbiamo assistito ad un riavvicinamento da parte delle giovani generazioni al mondo enogastronomico. Lei è molto giovane. Ci parli della sua iniziativa e di come è nata l’idea di fondare un’azienda agricola.

L’azienda agricola è stata un’idea di mio padre. Nel 2008, per una scelta di vita, ha deciso di tornare alle origini e di fare il viticoltore. Io riuscivo a dargli una mano solo parzialmente, quando aveva necessità di lavoro, altrimenti avevo già i miei lavori e non riuscivo a conciliare… L’azienda agricola è andata avanti. Sono aumentati i vigneti, le lavorazioni, e necessitava di ulteriore manodopera. Ho deciso di mollare il mio lavoro a tempo indeterminato per dedicarmi a una cosa nuova.

 

Di che cosa si occupava, precedentemente?

Negli ultimi anni ho lavorato all’Autotorino come magazziniere. Prima ho fatto di tutto. Ho lavorato come montatore, in officine, in fabbrica… Ho fatto il muratore, il lavapiatti… Tutti i lavori mi hanno aiutato a darmi un bagaglio di esperienza, di lavoro.

 

Ha trovato difficile entrare in questo nuovo ambito lavorativo, legato alla vitivinicoltura?

È stata una prova, sia per me che per mio papà. Non è mai semplice lavorare in famiglia. Ci sono degli scontri, ovviamente. Principalmente è stato quello il nostro sforzo iniziale. Ho dovuto capire cosa bisognava fare. Come interpretare la natura, i suoi segnali. Lui (mio padre N.d.R.) mi spiegava quali erano le varie fasi di lavoro... Sapevo sin da subito che lavorare nella vigna era duro.

 

Secondo lei, è più importante un’esperienza sul campo rispetto ad una di tipo scolastico, per questo lavoro?

Fino a quando non sei nel vigneto, non sai se fa per te. La vita reale conta molto di più, come nei progetti, come in qualunque altra cosa… Quando ti trovi nella realtà puoi essere soddisfatto oppure ricevere una batosta! Nel caso dell’azienda agricola bisogna seguire tanti aspetti: seguire la vigna, la cantina, la parte burocratica… da tenere in considerazione…

 

È necessario avere più competenze, insomma…

Esatto. L’agricoltore ultimamente deve saper fare un po’ di tutto. Se è istruito e più formato, è disposto ad avere un ampio spettro di possibilità, di valutarle, di guadagnare di più…

 

«Passione, forza e amore per la mia terra», sostiene da diversi anni. Sono parole che denotano un profondo radicamento alle tradizioni. Crede che sia importante, oggi, avere a cuore la propria cultura locale?

Assolutamente sì. Passione è la base che ti permette di sviluppare tutti i tuoi lavori… la forza di volontà. La partenza necessaria è la passione. Quella che ti dà la forza per andare avanti giorno per giorno. La forza, intesa come forza fisica, come potenza, sicuramente serve, perché la viticoltura valtellinese è appunto eroica, fatta completamente a mano.

 

Recentemente sono sorte nuove case vinicole a gestione famigliare. Molto spesso, però, non sono frequentate da giovani. Secondo lei, è possibile incentivare i ragazzi ad avere un ruolo più attivo all’interno delle aziende? Quale consiglio darebbe loro?

La mia azienda è frequentata da persone giovani…

Provare, come ho fatto io. Fare magari due anni di praticantato. Lavorare come dipendente, vedere quale mansione gli si addice di più… Valutare. In un’azienda agricola bisogna curare molti aspetti, come dicevo…

 

Senta, come ben sa siamo di fronte ad una crisi occupazionale in costante crescita. Tutto questo rende necessario fare impresa autonomamente. Pensa si tratti di un rischio, per un giovane, mettersi in proprio?

Penso di sì. È sempre un rischio mettersi in proprio. Dividerei i lavori in due grosse categorie: come dipendente e come titolare di un’azienda agricola. Credo che nel mondo ci sia bisogno di entrambe le figure… Non tutti possono essere imprenditori, oppure dipendenti. Bisogna valutare com’è fatta la persona e cosa intende sviluppare nella propria vita. Sono ammirevoli entrambi i ruoli… È un rischio, ma ti dà delle grandi soddisfazioni.

La crisi occupazionale è un problema evidente da diversi anni. Sicuramente, la viticoltura valtellinese non potrà dare lavoro a tutti i giovani valtellinesi. Forse non basta la passione, la forza e l’amore. Serve qualcosa di più.

 

Ad esempio?

Preparazione. Bisogna avere le idee ben chiare di dove si vuole arrivare. Forse per questo è importante farsi aiutare (nelle proprie scelte, N.d.R.). Io ho avuto la fortuna di avere a fianco una famiglia che mi ha sostenuto… Cominciare da zero è molto più impegnativo, anche a livello economico. Le banche ad esempio sono meno incentivate a dare finanziamenti.

 

Passiamo ora ad un altro settore. Quello della tecnologia. Nel suo piano di governo, l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha approvato nuovi incentivi per l’industria 4.0. Innanzitutto, ritiene sia una buona idea? E quanto conta l’innovazione tecnologica all’interno di un’azienda vinicola?

È fondamentale. Chi non si forma si ferma. In questo momento, in cui c’è un avanzamento tecnologico, conta rimanere al passo coi tempi… Una volta passavano più anni prima che ci fosse un cambiamento, ora la tecnologia è molto più funzionale. Aiuta a fare meno fatica. Stiamo cercando di rendere più comodi i nostri vigneti. È un grosso guadagno. In futuro i macchinari saranno usati in maniera migliorativa, propositiva, per avere un miglior controllo delle risorse.

Gli incentivi servono sempre. Devono essere garantiti e puntuali. A volte passano dei tempi piuttosto lunghi… Sei mesi, un anno, un anno e mezzo… Fare dei forti investimenti solo per gli incentivi non è però una cosa che suggerisco…

 

Parliamo ancora di innovazione. Nell’età post-industriale, pensa che la Globalizzazione possa rappresentare un ostacolo allo sviluppo delle realtà locali, come la sua?

La Globalizzazione soffoca le realtà locali. Questo è un dato di fatto. In Valtellina abbiamo la fortuna di lavorare con un’uva che è il Nebbiolo. Questo vitigno ha la peculiarità di esistere solo in due parti del mondo: La Valtellina e il Piemonte. Questo ci permette di avere un prodotto di eccellenza. Hanno provato a portarlo in California, in Australia e in altre parti del mondo, ma non regala lo stesso prodotto. Ogni territorio ha le sue espressioni, il clima ha le sue caratteristiche… In Valtellina ogni azienda ha i suoi vini, diversi l’uno dall’altro. E questa è una particolarità. Cerchiamo di dare al mondo intero diverse interpretazioni, pur mantenendo una linea comune. Tutto questo è un valore aggiunto.

 

Negli anni, i vigneti della provincia di Sondrio sono stati progressivamente abbandonati, lasciando spazio ai boschi ripariali. Crede che i giovani manchino di entusiasmo per il mondo vinicolo? Se sì, quali soluzioni propone per accrescere il loro interesse?

Credo che manchi di interesse per i giovani. Bisogna cercare di dare la giusta remunerazione al lavoro che si fa, soprattutto in Valtellina, che è una valle eroica per quanto riguarda i vigneti e in cui occorre un impegno inimmaginabile. Una giusta ricompensa permetterebbe ai giovani di entrare in maniera molto più propositiva in questo ambito.

 

Crede che le scuole e le associazioni possano svolgere un ruolo attivo nella promozione del mondo vinicolo?

Lo stanno già facendo. Si stanno impegnando su questo lato. Non sono così pessimista.

 

Credo sia importante fare delle precisazioni. Può essere utile spiegare ai giovani che non si tratta di un lavoro di “seconda categoria”?

Non è un lavoro di seconda categoria perché non si basa solamente sul lavoro della terra. Adesso, ancora di più, si parla di agricoltura 2.0 o anche oltre. L’agricoltore è come un industriale da certi punti di vista, soprattutto quello burocratico. Deve sapere come seguire l’azienda dal punto di vista organizzativo. Lavorare la terra è un lavoro duro, difficile. La terra è bassa e bisogna abbassarsi.

 

Humus, cioè umile. Ovvero «colui che è vicino alla terra», secondo l’etimologia del termine…

Assolutamente. Inoltre bisogna avere una visione a 360 gradi. Essere lungimiranti.

 

Condivido. Ascolti, il 6 settembre 2016, in occasione della conferenza “Narrare il mondo del vino alle giovani generazioni”, un esperto enologo della Valpolicella ha dichiarato che «le aziende devono sostenersi. Il territorio che lavora in sintonia, lavora bene». Uno spirito di collaborazione, insomma, sembra indispensabile. Concorda con questa visione?

Assolutamente sì. In questa direzione, esiste un Consorzio tutela vini, sia a livello nazionale, regionale e provinciale. Ci troviamo ad affrontare insieme delle problematiche rispetto al nostro territorio e soprattutto la promozione dei nostri prodotti. È un bel gruppo, dove tutte le persone cercano di dire la loro opinione. È sicuramente necessario poter crescere insieme, aiutarsi. Per la promozione, per il lavoro.

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1 COMMENTI

03 08 2017 09:08

Méngu

Caro Cantoni, ringrazio per la precisa intervista ai signor Marco Travaglia e al signor Francesco Folini , due persone intraprendenti e intelligenti. Complimenti a loro e a lei . Desidero però, come mio solito su questo giornale , aggiungere il mio punto di vista. Si parla di lavoro giovanile e di nuove iniziative per trovare lavoro. Sicuramente è uno dei problemi gravi che vanno dibattuti per trovare soluzioni. Sono anziano, ma sono preoccupato per i giovani e per i loro problemi. Innanzi tutto come dicevano i nostri vecchi “il lavoro non ti salta addosso ma sei tu che lo devi cercare “. Io aggiungo anche che il lavoro lo si inventa. La mia prima domanda sui giovani valtellinesi è questa. Siamo sicuri che l’agricoltura non ha più bisogno delle nostre mani giovanili ? Non è un lavoro quello di avere un gregge di pecore o alcune capre per farle pascolare in prati che vanno alla rovina ? Non è un lavoro quello di falciare i prati abbandonati e bonificare boschi, tagliare legna, curare sentieri, canalette delle strade, bonificare vigne abbandonate, creare piccole comunità che ricuperano ciò che va perso e ritorna bosco ogni giorno ? Secondo me è lavoro che può dare ritorno economico. Per non parlare di lavoro di assistenza agli anziani e nel sociale…. lavoro dai locali un poco trascurato Altro punto: Quanti giovani valtellinesi conoscono due o tre lingue straniere come la maggior parte dei giovani di altri stati ? La conoscenza delle lingue straniere facilita l’approccio al lavoro. Contate , ad esempio, i giovani Valtellinesi ( o tiranesi ) che parlano bene il tedesco, essendo la Svizzera tedesca a pochi chilometri da noi. Lo stesso vale per l’inglese, il francese ecc. ecc. . Perché i giovani non riscoprono i mestieri dei nostri vecchi che lasciano il lavoro chiudendo bottega ? Poco guadagno ? Si incomincia dal poco per arrivare al molto se uno ha intraprendenza. Insomma , voglio dire, che ci sono bei lavori “ puliti “ da inventare , ma anche quelli faticosi e “ sporchi “ sono una risorsa che va sfruttata e credetemi che la società sarà riconoscente. L'esempio e il risultato dei due signori intervistati è sicuramente una strada da seguire.