La banalità del male nel paese dove "tutto cambia per non cambiare nulla"
ECONOMIA E POLITICA - 24 02 2018 - Alessandro Cantoni
Siamo tornati agli anni di piombo. Da giovane ventenne che si interroga sul fenomeno del terrorismo, non posso che provare amarezza per le manifestazioni violente che, ultimamente, stanno lacerando il paese. Tutto ciò avviene in uno Stato che, come ad ogni occasione, si divide, si spezza. Eppure non posso accettare di vedere ragazzi, miei coetanei, pestare brutalmente un carabiniere, un uomo in divisa che, con sacrificio e senso delle istituzioni, difende l'incolumità di noi cittadini. Allo stesso modo, non posso tollerare che un gruppo di facinorosi abbia legato, seviziato, picchiato a sangue, sprangato e infine ripreso la scena con il cellulare, un dirigente di Forza Nuova, aggredito impunemente lungo le strade di Palermo. A spaventarmi e ad irritarmi è questa spaventosa "banalità del male", il sarcasmo e la ferocia degli esaltati. Quando osservo o leggo di scenari da guerra civile, stile anni Settanta e Ottanta nell'anno del Signore 2018, provo un certo fastidio ed una rassegnazione gattopardiana. L'Italia mi sembra infatti quel paese dove tutto cambia affinché non cambi nulla. Tutto permane ancorato al tempo che fu, nella vita di ogni giorno come nei dibattiti. Forse, un giorno, torneremo a confrontarci sulle problematiche reali, lasciando alla storia il giudizio sulle ideologie totalitarie. Riprenderemo allora ad ascoltarci, rispettando la libertà di coscienza di chi non vuole fare i conti con la storia oppure abbraccia pensieri illiberali a causa della disperazione, della nostalgia? Alessandro Cantoni
Può sembrare un paradosso, e lo è. Può apparire un pensiero azzardato; è possibile, non lo so.
Perciò occorre spiegare ai giovani che il fascismo fu una piaga di oltre settant'anni fa; per questo bisogna ribadire con forza che la democrazia è un ideale alto e nobile, e che essa poggia sui princìpi di rispetto e tolleranza di qualsiasi ideologia, persino la più retrograda e reazionaria.
Occorre, in fin dei conti, diffondere la consapevolezza che l'antifascismo, qualora abbia ancora senso parlarne, deve essere di maniera e non militante.
Chi ha studiato e conosce la storia degli anni di piombo sa di che cosa sto parlando.
All'interno di un paese civile e moderno, auspico la fine di questo ormai logoro dibattito tra neofascisti ed antifascisti di professione. Desidero, semplicemente, che da parte della mia generazione vi sia un impegno comune, costante, a difendersi con la forza delle idee e delle azioni concrete, civili, dalla morsa della disoccupazione, del lavoro precario, tornando a discutere di globalizzazione, di processi tecnologici, di futuro, di integrazione. Non più di passato. Esso rimane chiuso nella scatola dei ricordi dolci e amari.
C'è, in questo senso, chi già si mobilita e agisce. Non posso che ricordare l'amico Simone Agutoli, candidato nelle file del M5S.
Nonostante questo e salvo rari casi, la gioventù appare divisa entro due rigidi compartimenti stagni. Da un lato coloro i quali ingrossano le file degli antifascisti militanti e che, troppo spesso, fanno appello a ideali ammuffiti, invecchiati e polverosi, rivelatisi inadatti a rispondere alle esigenze del nostro tempo, e di cui per lo più ignorano identità storica e contenuti; dall'altro la fila interminabile degli indifferenti, estranei alle sorti del paese e, figuriamoci, del pianeta.
Sorprende solamente che nella testa di tanti giovani, il sale della terra, non si siano spenti gli ardori per ciò che non hanno neppure conosciuto né vissuto, ma che hanno solamente studiato senza spirito critico né applicando una giusta contestualizzazione.
Mai disperare. Fermo restando che questo clima di intolleranza rende assuefante e irrespirabile l'aria del nostro paese. Ai facinorosi, ai violenti - di qualunque colore politico essi siano -, a chi si permette di oltraggiare e opporre resistenza alle forze dell'ordine deve andare una ferma condanna e nessuna comprensione. Commettono del male, perché sono banali e senza dignità.
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