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I saluti al tempo del Coronavirus

CRONACA - 06 02 2021 - Ezio (Méngu)

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Passeggio a volte sul Viale Italia in Tirano. Di solito scelgo il marciapiede a valle poiché in quello a monte mi sembra di visitare un “saloon” d’esposizioni di automobili e poi quando arrivo alla vecchia filanda “Mottana” temo sempre che mi cadano sulla testa calcinacci dal tetto e rasento lo stradone. Il mio passo è lento e meditativo come quello di un prevosto deluso dai suoi parrocchiani.

 

L’altro ieri ero assorto in pensieri da coronavirus mentre tutti tiravano diritto con la mascherina sopra il naso, berrette calate sulla fronte da sembrare ricercati. Faceva freddo e alcuni dal sangue caldo emettevano sbuffi di vapore che svolazzavano tra il naso e il gozzo come i camini del teleriscaldamento. Chi salutava dava un cenno di capo sfuggevole accompagnato da un mugugno catarroso e i “ciao” erano flebili belati da pecora ferita. Era un peccato vedere sagome gradevoli di signore con la bocca e il naso coperto da uno spesso panno nero o di colore in accordo con il loro cappotto mentre i loro occhi erano quelli da gufo imperiale per farsi riconoscere. E quando finalmente qualcuno si riconosceva il loro saluto era un’ alzata di mano per via del metro d’ordinanza di distacco. Alla televisione in nostri capi politici, pieni di ingegno teatrale, hanno inventato e insegnato un modo nuovo di salutarsi per strada, nelle botteghe o in corridoi. Pur trasgredendo il regolamento che impone la distanza, si strusciano tra loro come gatti in amore dandosi un reciproco colpetto di gomito. E’ un atto di cortesia, anche se sulle prime, confesso, quel gesto del colpo di gomito l’ho inteso come : “ dai, forza, adesso li freghiamo !”.

 

Scusatemi ma è il subconscio della mia esperienza che me lo ha fatto pensare. Però questo è un modo per non toccarsi la pelle e evitare il “ maledetto “ contagio, anche se dopo il colpo di gomito per sicurezza , è bene portare il cappotto o la giacca subito in lavanderia per togliere virus e odori. Ma ci sono vari modi di salutare nel Mondo. La più simpatica è quella tibetana tirando fuori la lingua pulita e ben distesa. Poi c’è quella della gente filippina che usa prendere la mano delle persone anziane e posizionarla sulla propria fronte inchinandosi innanzi a loro. I giapponesi usano l’inchino, più è profondo più la persona che si saluta è importante. In India le mani sono unite come in preghiera e posizionate davanti al cuore. In Oman gli uomini si salutano fregandosi i nasi l’un contro . In Malesia si entra in contatto con le dita delle mani e le mani vengono portate al cuore. In Tailandia la gente si saluta unendo le mani come in preghiera e inclinando leggermente la testa in avanti. Il saluto più diffuso al Mondo è però una vigorosa stretta di mano. E nella nostra Valle?

 

Quando ero ragazzo, il saluto era un vigoroso “ uèila “ con alzata di mano. Tralascio il saluto con il grido “ A noi !“ con distesa del braccio perché mi rammenta brutti sogni. Ora in questi tempi di coronavirus, fra i tanti saluti citati, in particolare quelli che portano al contatto fisico, è meglio tralasciarli per via del contagio. Forse è meglio emettere anche poco fiato e quindi parlare poco. Allora ci resta solo l’uso dei nostri arti. Escludiamo i piedi poiché la pedata agli altri, pur essendo a volte la più desiderata, può portare litigi e tafferugli. Il saluto poi con il battito dei tacchi lo escludiamo poiché non siamo ancora in regime militare. E qui mi sbottono nel saluto mio preferito che in verità ho usato sin da ragazzotto quando facevo chilometri e chilometri a piedi e in biciletta nera della “ Bianchi “ per trovare la mia “ bella “. Tra noi giovani, quando ci incrociavamo magari stroncati dall’impegno per le nostre avventure amorose , il saluto era una alzata dolce e leggera di braccio sinistro sino alla fronte, segno di pensiero forte, poi con la mano e con le tre dita leggermente tese, si univa il pollice con l’indice sino a formare una “ O” leggermente prolungata , quasi una losanga, e si attendeva che l’amico salutasse allo stesso modo con un leggero colpo di assenso d’occhio. Era il saluto migliore, gradito anche dalle nostre fanciulle che facevano finta di non vedere e che allungavano il passo con un sorriso mal celato. Ieri ho salutato, in questo modo l’amico e nonno Bernardone, uomo di cultura e sempre pronto a consigliare il bene altrui. Mi ha risposto al saluto allo stesso modo, con movimento e eleganza sopraffina e con il colpetto d’occhio e sorriso.

 

Mi sono avvicinato e gli ho chiesto se il nostro saluto fosse valido anche in questi tempi moderni e di coronavirus. Lui mi ha detto con fare serio: ” è probabile, ma per sapere occorre sperimentare. Quando passeggi sul viale Italia, lato Valle, e incontri persone dal viso bendato prova a salutarle con il nostro modo giovanile. Se rispondono con un sorriso d’occhi è segno che lo gradiscono e che tutto funziona come ai tempi nostri . In tal caso puoi proporre quel gentile saluto, con missiva raccomandata con ricevuta di ritorno , ai nostri Parlamentari. Dubito però che a loro, lavoratori indefessi H 24, piaccia”. Bernardone se ne è andato salutandomi a modo nostro e con sorriso compiaciuto.

 

Ezio (Méngu)

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