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L'incredibile Carnevale Tiranese del 1954: foto e racconto

CRONACA - 24 02 2025 - A cura di Ezio (Méngu)

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/L'incredibile Carnevale Tiranese del 1954

Leo Tancini racconta, attraverso un articolo su IL Tiranese del 1976, il divertentissimo carnevale di Tirano del 1954.

 

La parola carnevale deriva dal latino ecclesiastico: Carnem levare, ossia togliere la carne perché dopo il carnevale inizia la Quarésima, durante la quale non si poteva mangiare carne. Il carnevale è entrato a far parte della cultura di tutti i popoli ed è sinonimo di feste, baldorie, godimenti, scherzi. Il vecchio adagio “a carnevale ogni scherzo vale” viene applicato alla lettera per fare tiri mancini al prossimo. Ho un bel ricordo del carnevale del ’54 dove tantissima gioventù tiranese in quei giorni si dava da fare per preparare carri allegorici, carri con i pupazzi dèla vègia de brüsà in serata e i paiaröi attaccati al loro lungo palo da fögà a mulinèl sopra la testa.

 

Leo Tancini, gentiluomo 90 enne d’altri tempi e conosciutissimo in Tirano per il grande impegno profuso per Tirano e per la Pro Loco, ci ricorda il carnevale del ‘54 in modo meraviglioso e irripetibile donandoci, a distanza di più di mezzo secolo, una ventata di allegria e spensieratezza.
Spero che qualcuno si riconosca nelle fotografie di quell’ ormai lontano carnevale e se al giorno d’oggi iè grisìn de cràpa insegnino alle nuove generazioni che le tradizioni non si possono perdere perché sono cose de ninà con tanta nostalgia e da tenere preziose come i gioielli di casa nostra.

 

Un particolare ringraziamento all’indimenticabile e “anima  Storica  “ del Carnevale Tiranese, che con un suo magistrale articolo mi ha fatto rivivere il ricordo di quel carnevale e che lui stesso mi ha raccontato i particolari di quella sfilata dell’Incredibile Carnevale tiranese del”54  Questo racconto sia Gloria a lui e a coloro che vi hanno partecipato con la costruzioni dei carri.

 

Ezio ( Méngu)

 

 

Il mio capolavoro

Credo proprio che la “ ceretta depilatoria” tanto usata oggi nella cosmesi moderna per la totale eliminazione dei peli ( superflui ) l’ho inventata io!
Ma procediamo con ordine.
Carnevale 1954. Il problema era quello di mostrare ai cittadini una rappresentazione, la più completa possibile e vagabonda , gaia e patetica, chiassosa e avvincente, di un circo equestre. Eravamo a buon punto: il carrozzone era pronto. Il camioncino de la farina del Pitito era stato trasformato in un’immensa carovana sulle cui fiancate la scritta ” CIRCO ORMEO ORMAI “ richiamava alla memoria la capostipite famiglia circense di Orfeo Orfei. Avevamo già i cavalli messi a disposizione dalla scuderia del Pietro Cabassi.

 

Due tra le più belle ragazze tiranesi, la Luciana e la Pina, preparavano e ritoccavano i costumi da cavallerizze dopo un corso accelerato di equitazione e, sinceramente, non avevano nulla da invidiare a Liana Orfei.
Il clown Bruno (Della Morte) era perfetto: credo che non pochi abbiano riso tanto vedendolo sfilare; Giocoliere era il Perlino Schiantarelli che per settimane, la sera, si era allenato, con piatti e bicchieri, arrivando a distruggere tutta la dotazione di cucina pur di imbastire un esercizio decente.
Era pronta anche la donna cannone; dopo accurata selezione la scelta era caduta su quanto di meglio offriva la piazza: i centoventi chili del Carlo Gagin vestito da donna!
Un intoppo iniziale era dovuto alla irreperibilità di un nano vero; scartata l’idea iniziale di truccare da nano un bambino, sciolse tutti i nodi la presenza tra noi del Mariolin Carin che però, pur essendo un gigante, era comunque troppo alto per un nano vero.
Ma il suo entusiasmo era tale che, di fronte alle mie perplessità, sbottò a dire: “tal see cusa che foo? Camini in ginoecc !”
E mantenne la parola. Ora io non so se vi rendete conto di cosa voglia dire camminare in ginocchio, lungo le strade di una città, per una giornata intera e per di più suonando la fisarmonica, ma il Mariolino ha superato se stesso!
Avevamo gli inservienti con le tradizionali giacche verdi, c’erano gli stallieri, gli addetti alle pulizie ( quelli che con ramazze e palette raccolgono la popò degli animali). Gli acrobati erano impeccabili.
Spaziava su tutti la mole atletica ( a quei tempi ) del domatore: gli stivali lucidissimi, calzoni attillati, giacca rossa con alamari d’oro a ricoprirgli il petto e spalle da gladiatore; con lo sguardo truce e una frusta in mano ecco il Ranzett ( al secolo Titi Beretta ).

 

Il problema grosso me lo procurò proprio lui: “ ma chi cavolo debbo domare se non ci sono le bestie feroci? “ Non ci avevamo pensato! Ed allora di corsa dal Turri ( era il coordinatore di tutto il traffico ) a chiedergli di risolvere la questione.
Con tutta la sua buona volontà non riuscì nell’intento ed ancor oggi non so se fu per carenza di pelli di leone o per il rifiuto di alcuni disoccupati a farsi cucire addosso le pelli delle belve.
Sconsolati da questo intoppo che a tutti i costi doveva essere eliminato, seduti ad un tavolo della “ Trattoria degli Amici “, al Ciufin, al Stefen, al Belesin e io, cercavamo una soluzione quand’ ecco entrare per berne un calice il Renzo Cazzulani!
Fu la rivoluzione!
Lo abbordammo dicendogli che lui e solo lui avrebbe salvato la situazione, che la riuscita di tutto il carnevale era legata alla sua partecipazione; se si fosse prestato ad una prestigiosa opera di trucco, avremmo avuto il nostro capolavoro!
Resistette a lungo prima di cedere. Gli facemmo i nomi di tutti quanti avevano accettato con spirito la carnevalata, gli dimostrammo il lavoro a cui tutti da settimane ci eravamo sottoposti , gli parlammo dell’appannaggio che il sindaco Cattaneo, sempre sensibile a certe iniziative, ci aveva concesso allentando i cordoni della borsa, gli garantimmo la gratitudine di tutta la popolazione.
Frastornato da tante pressioni, lusingato che simili attenzioni fossero rivolte alla sua modesta persona, gli scappò un “ ghe sto anca mi “.
Lo ricoprimmo di baci e sturammo bottiglie.
L’euforia era al colmo quando di colpo ci azzittì e perentoriamente chiese “ cusa duvaressi fa ? “
Con la voce rotta per l’emozione bisbigliai : “ orangoutan ! “ .
Fece uno scatto da centometrista e fu sulla porta…..Lo riagguantammo ansimante in piazza Marinoni.
Riportato di peso in trattoria, con l’ausilio di persone più influenti, con la garanzia – giuramento che nessuno lo avrebbe riconosciuto sotto una trasformazione perfetta, lo facemmo capitolare.

 

(Caro Renzo, ti ricordo con tanta simpatia e questo mio scritto oggi vuole essere un omaggio alla gente semplice del tuo stampo. Vuole essere un tributo alla tua ingenuità. Sì, perché tu ti ribellavi a trasformarti in uno scimmione per una giornata, temendo di ledere la tua dignità di “ essere umano “ . E non sapevi , e qui sta la tua ingenuità, che tu diventavi “ bestia “ per un giorno e per lo scopo nobile di portare allegria sulle strade della tua Tirano nel giorno di carnevale.
Il carnevale però , Renzo, non era quello! Il vero carnevale comincia di Quaresima. E’ quello che inizia al momento in cui si spazzano le strade degli ultimi coriandoli. Da quel momento vediamo circolare una infinità di maschere. Ora che tu sei in un mondo più pulito, la vedi certa gente “ rispettabilissima” e sorridi; perché ti rendi conto che son più maschere loro, sempre, di quanto tu non lo sia per un giorno.
Quando, sfogliando i giornali che ti arrivano dalla Terra per via aerea, leggi gli scandali, adulteri, violenze carnali, ruberie in grande stile, e apprendi che gli autori di tanti misfatti sono persone “rispettabilissime “ mi dai conferma che ognuno maschera il proprio essere, e che nessuno potrà mai criticare la nostra mascherata.
Ma ora Renzo ti lascio perché devo continuare il racconto, Ciao!)

******

 

Il più felice di tutti fu il Titti Beretta che vedeva così completato il suo “ numero “.
I guai non erano però finiti: come sarei riuscito a “costruire" l’orangoutan?
Consultando l’enciclopedia degli animali mi feci una cultura sui quadrumani e conclusi che mi occorrevano 1 bidone di catrame, 1 pennello, 2 materassi di crine nero e 4 uomini robusti per tenere fermo il Cazzulani. Cominciammo tre giorni prima della sfilata per avere modo di correggere la truccatura, qualora al primo tentativo non fosse riuscita a dovere.
Impiegammo tutta la notte. Chiusi in una stanza della “ Trattoria degli Amici “ sigillate porte e finestre per impedire fughe dovute al ripensamento e per attutire le urla del Renzo demmo inizio all’operazione.
Su un fornello a gas il secchio del catrame a bollire ( bisognava spalmarlo caldissimo sulla pelle , per far aderire bene il crine dei materassi ).
Nei punti strategici si dovette aumentare il quantitativo del crine per non incorrere nella censura del Marasciallo Filippelli.
Il risultato, ancorchè laboriosissimo, fu perfetto.

 

Dalla generale incatramatura furono rispettati soltanto gli occhi, la bocca e i buchi del naso, e ciò che vedemmo ad opera finita, fu la maestosa figura di questo nostro progenitore.
Dino De Laurentis, il produttore cinematografico, che sta ricostruendo a New York il classico Colossal King Kong, se si fosse trovato a Tirano nel ’54, avrebbe senz’altro preso a modello per il suo film il nostro “ mostro “.
“Voglio vedermi “ dice Renzo, e appena lo portammo davanti ad uno specchio comincia a battersi il petto villoso , tentando l’urlo della giungla.
Siamo tutti a rotolare per terra, con le mani sulla pancia. Le risate ci fanno lacrimare, tentiamo di parlare, ma la voce è gutturale, siamo in piena foresta.


La gabbia su ruote entro cui si agitava il Cazzulani era il centro dell’attenzione.
Il pubblico convenuto da tutte le valli e dalla vicina Svizzera era ammirato dalla esibizione del Renzo che urlava versi incomprensibili e protendeva le braccia pelose tra le sbarre della sua prigione in cerca di
cibo, per ritirarle con urla più selvagge ogni volta che il Ranzett rifilava su di esse certe frustate che avrebbero abbattuto un elefante. ( Per la riuscita di questa esibizione avevamo convenuto in precedenza di tenere a digiuno il Cazzulani per i tre giorni che precedettero il carnevale , per cui le urla erano dovute anche agli stimoli della fame ).

 

Tirano visse la sua grande giornata. Ma quando tutti a notte fonda, commentando favorevolmente l’iniziativa, si ritirarono a casa per buttarsi sul letto, per noi cominciò la tragedia.
Come depilare il Cazzulani? Il crine, da tre giorni impastato saldamente al bitume consolidatosi sulla pelle, era inamovibile.
Ci riunimmo a consiglio per ascoltare le varie proposte, essendosi il Giuanin rifiutato di tosare il Renzo con le forbici. La depilazione a mano, pelo per pelo, fu scartata perché troppo lunga.
Il lavaggio con acido muriatico presentava un indice di pericolosità piuttosto elevato.
Qualcuno propose di cospargere il corpo con benzina e dare tutto alle fiamme ( i peli sarebbero bruciati ed il catrame sciolto ) ma il Renzo fu inflessibile nel suo diniego e non se ne fece nulla.
Fu in quel momento che nacque il sistema di “ depilazione a ceretta “.
Riflettendo sulla densità della strato di catrame indurito, feci una deduzione: se fossimo riusciti ad incidere con una lama affilata, in varie parti del corpo, lo strato bituminoso strappando con energia queste fasce, avremmo asportato tutto, catrame e crine, ridonando le sembianze originali al Cazzulani.
Così fu fatto. Anche se il vicinato quella notte non dormì, a causa dei lamenti del nostro paziente, con le luci del nuovo giorno la missione era compiuta.
L’ orango era sparito, e il Renzo, guardando allo specchio la sua pelle liscia come una mela, con tono nostalgico esclamò: “Qui sü ‘n del cül era i mèe! “

 

“Il mio capolavoro“ è di Leo Tancini
(articolo pubblicato su IL Tiranese- Anno 1- n.4 –Dicembre 1976)

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