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Cartoline e stampe d'epoca: via Rasica e dintorni verso San Rocco

CULTURA E SPETTACOLO - 06 05 2020 - Ivan Bormolini

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/La chiesa di San Rocco prima del restauro
La chiesa di San Rocco prima del restauro

(Di I. Bormolini) Non potevo lasciare la frazione di Madonna di Tirano, senza fare un cenno alla via Rasica, cuore dell'antica contrada e alla chiesa di San Rocco.

Vi dico subito che non ho trovato cartoline d'epoca di questi luoghi, aggiungerò foto della mia collezione a fine articolo.

 

Bello, ma troppo lungo sarebbe oggi rievocare le storiche vicende di quando gli abitanti della Rasica, allora Madonna era quasi tutta racchiusa in questa contrada, desideravano avere una parrocchia per loro, staccandosi da quella di San Martino in Tirano.

L'antica contrada, prendeva il nome da una segheria attiva in quei luoghi ( rasega ), questa era alimentata dalla forza idraulica della roggia derivata dal torrente Poschiavino..

Incontriamo all'ingresso della via, il palazzetto Homodei-Marinoni, oggi di proprietà Garbellini.

 

Il portale nel suo fastigio vede una secentesca raffigurazione dell'Apparizione; notevoli sono anche le decorazioni interne sopra l'architrave. All'esterno del portale spicca lo stemma che riporta le iniziali del costruttore e proprietario Gian Maria Homodei, questi era padre del famoso Giovan Pietro, pittore a lungo attivo nella decorazione delle volte e delle pareti del vicino santuario.

La casa è una composta costruzione risalente al 1576. Una lapide affissa sulla facciata Ovest, ci ricorda che vi aveva abitato G. Battista Marinoni dal 1638 sino alla sua morte nel 1656. Il Marinoni, già prevosto di Tirano e fondatore della “Scolastica”, lasciava per testamento la casa e le sue vaste pertinenze, alla chiesa della Madonna di Tirano di cui era stato Rettore.

I deputati del santuario ne avevano fatto sede ufficiale dell'archivio e dell'amministrazione del tempio Mariano.

 

Incendiata dai soldati francesi nel 1798, una volta ricostruita, veniva adibita ad alloggio e a sede scolastica sino alla sua alienazione da parte del nostro comune all'inizio del Novecento.

Nel cammino, ammiriamo alcuni edifici borghesi del Settecento, ma è al bivio tra via Rasica e via Monaci che troviamo altri antichi simboli della contrada.

Ad un occhio attento, non può sfuggire l'indicazione ben conservata che indicava le due vie, un raro esempio rimasto di come si usava dipingere sui muri le indicazioni delle strade.

Un modesto portale del Settecento, conserva nella parte superiore un affresco dell'Apparizione che nonostante il tempo pare ancora ben conservato.

 

E' certo che la via Monaci facesse parte dello storico nucleo abitato. La toponomastica di Tirano, la vede dedicata a loro, attestando il ricordo dei monaci di Santa Perpetua e San Remigio.

Al termine di questa viuzza, incrociamo la via Fucine che ci conduce verso le scuole e l'asilo di Madonna.

Sul perchè sia stata così intitolata ce lo racconta il Varischetti:

“ Nella zona nei pressi del santuario, dove una località è chiamata Fucine, battevano di maglio numerosi artigiani del ferro e dice il Quadrio scrivendo nel 700 che finissimo acciaio si fabbricava da Lorenzo Negro di Tirano, mercanzia che in tutta Italia, nel suo genere, è la più reputata ed estimabile”.

 

Pare, anche se non ho trovato conferma, che i mastri fabbri della via Fucine, avessero concorso in epoche lontane a realizzare pezzi per la costruzione del santuario.

Anche in via Fucine al civico 19, troviamo un affresco murale evocante la scena del 29 settembre 1504. Purtroppo è in pessimo stato di conservazione tanto che già nel 1964 il Varischetti lo definiva come dipinto insignificante, opera di un tinteggiatore inesperto del secolo scorso.

Ma torniamo al bivio e entriamo in via Rasica, qui tra corti e vecchie costruzioni riviviamo le atmosfere dei tempi andati.

 

Si vedono alcuni dipinti murari, come in una poesia d'altri tempi, il silenzio è piacevolmente interrotto dall'acqua che sgorga dalle fontane. Par di rivederle, quelle nostre lavandaie che si recavano nei bugli per lavare i panni con grossi saponi fatti in casa.

All'incrocio con via Cipriano Valorsa, esiste ancor oggi la struttura che era sede della “Latteria di Madonna”; sarebbe bello farne un museo per ricordare lo scordato rito del conferimento del latte e della caseificazione che ci ricorda i vecchi ritmi della vita contadina.

Dopo aver attraversato la via Valorsa, detto il Raffaello della Valtellina e di cui ne ammiriamo un'opera pittorica in santuario, il cammino ci conduce la “Cantun”, così definito perché è la zona più periferica, posta ormai in prossimità del confine con la Svizzera.

 

Ci accoglie una bella piazzetta e poco dopo l'imbocco con via San Rocco.

Ed eccoci qui alla scoperta di un altro edificio storico, ovvero la chiesa dedicata a San Rocco.

Si tratta di un edificio di impronta rinascimentale e da subito si nota la struttura ottagonale, sicuramente insolita per le chiese edificate in quelle epoche lontane.

Va detto, che questa costruzione aveva la sua nascita da motivazioni del tutto particolari e ben lontane dall'essere un luogo di culto.

Originariamente la chiesa era stata ideata nel 1526, quale fortezza in funzione anti grigione, doveva essere una sorta di fortino posizionato in una posizione strategica proprio all'imbocco della valle di Poschiavo.

 

Si narra, che per l' edificazione di detta fortezza, giungeva a Tirano un uomo, un sedicente frate dalla facile favella. Questo aveva convinto le nostre genti, a raccogliere offerte al fine di erigere un tempio in onore di San Rocco, protettore del morbo della peste.

Nella realtà dei fatti, il falso frate, Biagio Ferrario da Musso della zona del comasco, era un emissario di Gian Giacomo De Medici, detto il Medeghino ( 1489-1555 ).

Quest'ultimo dall' alto Lario, voleva combattere contro i Grigioni al fine di impossessarsi della Valtellina, dei contadi di Bormio e della Valchavenna.

Gettate le fondamenta, era parso subito evidente ai tiranesi di quell'epoca, che la costruzione, assomigliava più che ad una chiesa ad una fortezza a pianta centrale.

Il piano del falso frate veniva così smascherato, come pure le intenzioni del Medeghino, il quale forse pensava di trovar facili finanziamenti tra le nostre genti.

 

L'indignazione dei tiranesi era stata talmente ampia da costringere il Ferrario ad una frettolosa fuga:

“ben volentieri lo avrebbero appiccato ad un albero”, riferisce lo storico Francesco Saverio Quadrio.

Ma il fortino non veniva abbandonato, con ampio onore i tiranesi avevano desiderato dare compimento all'opera al fine di erigere realmente una chiesa dedicata al Santo.

I lavori proseguivano lentamente e con lunghe pause. Nel 1589, la chiesa non era finita, officiata all'inizio del XVII secolo, veniva completata con il campanile nel 1645.

Trentasei anni dopo, nel 1681, il vescovo di Como Carlo Ciceri ( vescovo comense dal 1680 sino al 1694 ), la trovava spoglia, già vecchia e con nulla di stabile.

 

Passavano gli anni, ed ecco che in occasione di una probabile visita pastorale, avvenuta nel 1752, il vescovo Ag.no Maria Neuroni, in carica a Como dal 1746 al 1760, descriveva la chiesa ben tenuta, ricca di altari e suppellettili, grazie anche all'interessamento della generosa famiglia Salis.

Dall'esterno, si gode della settecentesca eleganza del portale di pietra verde del 1751 con la scritta “Deo Optimo Maximo AB VTRAQVE IVE PRAESIDIVM”, “a Dio ottimo massimo in “presdidio” da ambe le pesti, (quella del corpo e quella dell'anima ).

I tiranesi dopo la peste del 1630, ogni anni il 16 agosto si recavano in processione.

Nel 1960, per cura degli abitanti della frazione e di altri magnifici tiranesi, alla chiesa veniva rifatto il tetto e risanate le opere murarie che minacciavano la rovina.

In epoche più recenti, gli interventi voluti da monsignor Tullio Viviani, hanno dato nuova vita a questo caratteristico tempietto tiranese carico di fede e vicende storiche. Ci ritroveremo giovedì prossimo con l'ultima parte.

 

 

Fonti: TIRANO. IL CENTRO STORICO STORIA ARTE ARCHITETTURA. Autore: Gianluigi Garbellini. Stampa. Lito Polaris Sondrio,

TIRANO. Autore: Monsignor Lino Varischetti. Stampa. Finito di stampare il 29 settembre 1961 presso la Tipografia Bettini di Sondrio.

 

Le fotografie pubblicate sono della collezione di Ivan Bormolini.

Si ringrazia la signora Caterina Nosari per l'invio di una foto che volentieri pubblichiamo.

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