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Funziona solo se rivolto verso l’alto

CULTURA E SPETTACOLO - 04 07 2021 - Ezio (Méngu)

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/Il ferro di cavallo
Un talismano eccellente: il ferro di cavallo

Di nome si chiamava Fortunato, ma fortunato non lo era affatto. Nella sua baita in montagna aveva inchiodato sulla traversa in legno della sua porta tredici ferri che il maniscalco aveva cambiato, dopo una vita di lavoro del cavallo Drago, gran trascinatore di ”priale”. Fortunato ricordava che i suoi vecchi gli avevano detto che il ferro di cavallo appeso sopra la porta di ingresso delle case era un talismano che portava gran fortuna e lui, ligio alle tradizioni, li aveva appesi uno dietro l’altro come soldatini. Erano ferri assai consunti dai sassi della mulattiera. Si vedeva ad occhio che ogni ferro di cavallo aveva la sua storia. Sembrava trasudassero ancora le “scintille“ scaturite dal frenare la pesante “priala“ come fossero degli acciarini magici. Erano reperti storici consunti dai colpi di zoccoli assestati sui sassi. Quei ferri appesi sull’uscio di casa sembravano degni custodi delle fatiche e delle imprecazioni del “viciurin”, eppure, malgrado quella sfilata di ferri di cavallo appesi con gran cura, la sfortuna era piombata addosso al pover’uomo e gli stringeva il petto come una camicia di forza.

 

Quando vedevo Fortunato scendere con la “priala“ di fieno dall’alpe Canali transitando per Ronco lo salutavo con affetto. Mia nonna Verginia mi aveva detto:“salüdàl cùma se ‘l föss ‘l so ültim viàcc parchè a chèl por um ‘l gà ‘n càpita de tücc i culur“ (salutalo come se fosse il suo ultimo giorno, perché a quel pover’ uomo gliene succedono di tutti i colori). Ogni sua discesa al piano era un’ avventura e quel giorno immaginai che prima di giungere alla “ piane “, scendendo dalla “ rata “(forte pendenza) della Prima Croce, il cavallo e la sua “ priala “ avrebbero preso un’onda di velocità. Immaginavo che il suo cavallo avrebbe perso il ferro dello zoccolo del “ garètt “( stinco ) sinistro e la sua “priala” sarebbe rotolata nel bosco della Valle della Ganda. Non successe così, ma qualcosa di peggio poiché gli si ruppe una ruota del “bròzz“ e il suo cavallo rimase zoppo per dieci giorni. Era un uomo sfortunato e quando una cosa andava storta, lui andava con l’andatura ad onda di biscia. Bisce di quelle nere e veloci che io prendevo per la coda prima che si eclissassero nei buchi delle ”mürache” e poi le facevo girare in aria come un turibolo gettandole nel pollaio delle galline dove la giustiziavano a colpi di becco.

 

Di Fortunato raccontano, tra le infinite sue tribolazioni, che un giorno mentre falciava il suo prato su una costa erta, dopo una potente “ranzata“ (falciata) fatta in ginocchio gli era “bufà fò  (spuntata istantaneamente) sopra l’inguine una ernia talmente grossa da far credere a sua moglie Orsolina che fosse stato miracolato e diventato superdotato somigliando al famoso Cavaliere Bartolomeo Colleoni che affetto da poliorchidismo possedeva un testicolo in più, facendolo Uomo conteso dal gentil sesso. Ma non fu così per Fortunato che dovette farsi operare e perse la fienagione di quell’anno. Questa ultima sfortuna dette il colpo di grazia alla moglie Orsolina, donna all’antica che si teneva i dispiaceri tutti per sé. Dopo quel fatto decise che ne avrebbe parlato, anzi si sarebbe sfogata con mia nonna, sua vecchia amica del cuore. La nonna dopo aver accudito alle sua mille cose decise di salire da Ronco a Canali a far visita ad Orsolina portandomi con sé. Quando siamo arrivati innanzi alla porta della sua baita, mia nonna mise le mani nei capelli vedendo i tredici ferri di cavallo infissi sul portale. La guardai stupefatto ma non mi disse nulla. Orsolina aveva già preparato il caffè per mia nonna, io chiesi di Fortunato che era a letto con delle emorroidi grosse come pugni e sul sedere aveva un grosso impacco di foglie di malva. Secondo lui quelle bocce gli erano “bufà fò“ (scaturite) perché si era accaldato nel tagliare da solo un albero con il “rasegùn“ (sega) . La moglie però era più propensa a credere in qualche potente bevuta di vino con gli amici alla bettola e per questo per un paio di giorni lo aveva ignorato anche a letto. Orsolina raccontò alla nonna le sventure di suo marito e chiese se conoscesse qualche buon esorcista che in qualche modo gli togliesse il malocchio. Mia nonna stette in silenzio poi con fare bonario e di sapientona disse: “Orsolina non serve, tutti i suoi guai se li è tirati addosso lui con un lavoro che non avrebbe mai dovuto fare“. “ Quale?“ disse Orsolina con una bocca di mucca impaurita. Mia nonna disse “Vai fuori casa e guarda sulla traversa della porta i tredici ferro di cavallo che il tuo uomo ha appeso“.

 

Corse di botto, li guardò e disse “Li vedo, allora?“ Mia nonna di rimando: “Sono appesi al contrario ed è per questo che la sfortuna ti è entrata in casa”. I ferri di cavallo sono dei gran talismani e portano fortuna se appesi nel verso giusto. La sua forma ricorda la “C” di Cristo, inoltre ha effetto benefico perché è a forma di mezzaluna, simbolo della Dea Iside, per di più ha il simbolo della sessualità femminile. Se li appendi con le estremità volte verso l’alto allora portano fortuna, ma se le estremità sono rivolte verso il basso porteranno sfortuna”. Orsolina si mise le mani nei capelli e gridò: “Miseri noi, sono appesi tutti con le estremità verso il basso”. Poi chiamò suo marito che, in mutande e con il pannolone di foglie di malva per via delle emorroidi , prese scala, tenaglia e martello, li schiodò tutti e li appese con le estremità verso l’alto sotto lo sguardo attento delle due donne. Orsolina e mia nonna quella sera si confidarono sino a tardi, quando ad un tratto si aprì la porta della stanza dove Fortunato giaceva a pancia in giù e con il sedere fiorito. Aveva le foglie in mano e la mutanda blanda e disse con impeto allegro: “I ma brüsa pü ‘l cül , che sulievu” (non mi brucia più il sedere, che sollievo). A sera tardi io e mia nonna, dopo aver acceso la lampada a carburo scendemmo in baita a Ronco. Il giorno dopo Fortunato scendendo baldanzoso con la sua “priala“ si fermò a Ronco, chiamò la nonna e disse sorridendo:“Tüta culpa mia, grazie Verginia, ‘l funziuna nùma se ‘l vàrda vèrs l’òlt “ (Tutta colpa mia , grazie Virginia, funziona solo se guarda verso l’alto). Mia nonna rispose sorridendo, avendo intuito il soggetto della frase. “Cùma tanti ròbi, ma té lée capida nùma adè , orgàn de ‘n orgàn“ (come tante cose, ma l’hai capito solo ora, macaco d’un macaco). E da quel giorno Fortunato fu veramente fortunato nelle cose e anche in amore.

 


Ezio (Méngu)

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