Gelsomino, il massaggiatore sopraffino
CULTURA E SPETTACOLO - 29 04 2021 - Ezio (Méngu)
La gente di montagna oltre ad essere di scarpa grossa e di cervello fino è sempre pronta ad aiutare il prossimo e sa contemplare ciò che è grazioso. Gelsomino, uomo di animo gentile e dall’occhio sopraffino aveva nel suo DNA questa caratteristica. Fu caritatevole e dolce con la bella Federica che scivolò in corsa sulla “ bruzzéra “ e batté il ginocchio. La dolcezza d’animo la riversò anche sulla sua suocera massaggiandola per ordine e forse per sottile rivalsa di sua moglie Orsolina. Gelsomino, il massaggiatore sopraffino. (massaggiare è quasi amare) I nostri uomini di montagna hanno sempre trattato con i guanti le donne . Anzi no, Gelsomino nel caso che narrerò i guanti non li aveva usati , comunque la sua gentilezza e la sua premura per Federica era stata massima. Ma chi era Federica ? La gente di montagna la chiamavano affettuosamente “ la rampeghìna “ . Era una stupenda ragazza di quasi trent’anni che nella sua corsa in montagna, sulla” bruzzéra” che porta all’Alpe Canal,i sembrava Afrodite la Dea greca della bellezza e dell’Amore. Io l’ho vista salire in corsa innumerevoli volte e passare per Ronco. Leggera, da sembrare un levriero, il sorriso stampato sul volto anche sotto lo sforzo più violento, bionda e con i capelli raccolti a cosa di cavallo che le accarezzava dolcemente le spalle come un battito d’ali. L’ho vista in canotta nera. Le sue spalle e il suo seno avvolti in quella stretta canotta dava una indescrivibile sensazione di potenza e di freschezza che unita al vigore delle sue gambe sembrava volare sulla pietra della mulattiera. La si vedeva di solito alla domenica mattina, dopo il suono delle campane della Basilica della Madonna di Tirano. Qualcuno diceva che fosse la Signora che stufa di rimanere in Chiesa dritta a farsi adorare, si prendeva un poco di svago correndo sui sassi lisci dell’antica “ bruzzéra “ che porta in Trivigno, salutando per due volte suo figlio alla Prima Croce e alla seconda di Ronco. Orbene , Federica scendendo in corsa appena sopra Ronco, in un giorno che una pioggerellina lieve aveva bagnato i sassi, scivolò e batté un ginocchio su un sasso. Il colpo violento le fece sanguinare un ginocchio e a mala pena, zoppicando, raggiunse l’antica osteria di Ronco. Era il giorno di S. Rocco. In quel giorno, è tradizione celebrare con grande devozione, la festa in onore del Santo nella bella e piccola chiesa all’Alpe S. Rocco, posta poco distante dall’Alpe Piscina, Canali, Ronco e più in basso, verso sud, da un delizioso gruppetto di case chiamato Marto. La nonna era andata alla S. Messa a S. Rocco e mi aveva lasciato l’incombenza di controllare che tutto rimanesse in ordine nel piazzale e intorno alla casa dell’osteria. A quel tempo avevo sei anni, figuratevi quale fiducia aveva in me la nonna e in particolare quando con il “brentin” andavo al “funtanìn” della Ganda” . Andavo e tornavo al trotto in dieci minuti con dieci litri d’acqua sulle spalle su un sentiero impervio e scivoloso. Quel giorno a Ronco era arrivato Gelsomino sudato e con una corona di tafani intorno al petto nudo da sembrare una aureola di santo. Si era afflosciato su una panca. La nonna ami aveva detto di non servire nessuno, così mi sono avvicinato a Gelsomino porgendogli solo un bicchiere di acqua fresca . Nel frattempo ecco giungere zoppicante Federica con un ginocchio grondante di sangue e con una faccia di Madonna dei sette dolori. Gelsomino , si asciugò dal sudore con la sua camicia e poi fece sdraiare Federica sulla lunga panca del tavolone dove, nei giorni normali, viaggiavano litri di rosso freschi di cantinin. Ecco la conferma che noi montanari trattiamo le nostre donne come Dee. Il ginocchio ferito era il destro. Con dell’acqua fresca pulì la ferita sul ginocchio che, a prima vista, sembrava più una abrasione che un taglio. Il sangue le aveva imbrattato anche il polpaccio. Poi , chiesto a Federica come stesse, Gelsomino gli disse che sotto la naia da Alpino aveva fatto esperienza di infermiere e di massaggiatore e nel caso le dolesse forte l’intera gamba poteva farle un massaggio. Aggiunse che era probabile che , nella scivolata, fosse stato colpito anche il nervo sciatico che passa per l’intera coscia sino a giungere all’attaccatura dal gluteo per poi giungere al muscolo bicipite femorale, accanto ai nervi sacrali. Il lamento di Federica era insistente, quasi penoso. Gelsomino la fece girare a pancia in giù sulla panca e iniziò a massaggiare con delicatezza estrema prima il piede, poi il polpaccio , il ginocchio. Proseguì lentamente per l’intero nervo sciatico sino all’attaccatura del muscolo bicipite femorale, mentre io piccino rimanevo incantato dai movimenti graziosi e dal viso assai compiacente di Gelsomino. Finito la s. Messa mia nonna , con le altre pie donne, non avevano smesso di dire rosari anche lungo la strada di ritorno da S. Rocco. Giunsero a Ronco e dopo aver fatto l’inchino sotto la seconda Croce eccola giungere nel piazzale dell’osteria. La nonna emise un grido strozzato dicendo a Gelsomino : “Purscèl, purscèl, ròz de ‘n um, lasa stà la ràisa “ . Giunto accanto ai due, la nonna dopo avermi scacciato, distolse con scatto violento la mano di Gelsomino che insisteva con ampio e lente volute sull’osso sacrale di Federica. La nonna conoscendo Gelsomino e qualche suo vizietto tagliò corto e disse: “ Federica vieni in cucina che ti medico con foglie di malva e vedrai che dopo un poco ti passerà tutto.” Federica si ricompose i calzoncini, si alzò e andò con la nonna che le chiese cosa fosse successo per filo e per segno e anche la necessità del massaggio al nervo sciatico della gamba. Disse che Gelsomino le aveva detto d’essere un esperto massaggiatore e che secondo lui il nervo sciatico nella scivolata sui sassi si era per così dire allungato. La nonna andò sul piazzale dove Gelsomino era ancora seduto sulla panca con occhi sognanti e gli disse : “Gelsomino , dai retta a me, vai a casa e fatti un bel massaggio al “ tò nerv sciatìch che fursi ‘l ta sàa slungàa “, ne hai bisogno . Domani racconterò questo fatto a tua moglie Orsolina. La sera dopo, quando Gelsomino arrivò a casa da Trivigno stanco morto con il sua “ priàla “ di legna , Orsolina disse a Gelsomino: “ Hai detto alla bella Federica che sotto la naia facevi l’infermiere e il massaggiatore? “ Ròz de ‘n ròz, purscèl, tée cambièt pü gnàa àa sciupà sèch ” . Non lo sapevo che sei in bravo massaggiatore. . Bene da domani, ogni sera, massaggerai mia madre che, sai bene, soffre di sciatalgia bilaterale con dolore all’osso sacro da vent’anni”. Ormai sei sulla bocca di tutti come valente massaggiatore. Questa fu la feroce condanna di Gelsomino che durò per circa cinque anni finchè la suocera non raggiunse il Paradiso. Ezio (Méngu)Vicende di gente di Montagna
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