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La chiesa: “Rifugio di montagna”

CULTURA E SPETTACOLO - 01 01 2019 - Ezio Maifrè (Méngu)

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/La chiesa di S. Perpetua, anni ’60 . Foto archivio Carlo Del Dot
La chiesa di S. Perpetua, anni ’60 . Foto archivio Carlo Del Dot

Ho avuto piacere nel sentir dire durante queste festività, in una delle nostre chiese e da un reverendo che stimo per la sua intelligenza e arguzia, una espressione interessante:  la chiesa come rifugio di montagna“. Condivido questa espressione da me sempre pensata ma mai espressa in modo così razionale e in tre parole. Sinceramente non ho capito se il reverendo l’abbia detta per esternare in tono critico l’andirivieni nel tempio di “escursionisti“ in questi giorni di festa o per indicare un luogo specifico di ritrovo, di meditazione e di pace dopo allegre sgambate per visitare luoghi della nostra Valle. Propendo per questa ultima ipotesi poiché mi fa piacere considerare la chiesa come punto di ristoro spirituale in particolare dopo abbondanti pasti e larghe bevute per poi mettersi in colonna, magari lacrimanti come coccodrilli con l’auto, per tornare a casa.

 

Dunque, se il reverendo ha citato la chiesa intesa come rifugio di montagna, ritengo la sua espressione poetica e pregna di contenuti specie per noi valtellinesi che ci consideriamo da sempre montanari. Sappiamo bene che coloro che amano la montagna amano quasi sempre e in ogni modo raggiungere la loro meta prefissata. Quando la raggiungono pur essendo stanchi si sentono soddisfatti e anche felici perché la loro fatica è stata appagata. Ma cosa c’entra la chiesa con il rifugio di montagna? C’entra e come!

 

Guardiamoci intorno e poi capiremo. Molti di noi sono come grandi corridori, tenaci camminatori tra i sentieri invasi da “ sterpaglie e affanni “ della vita con i piedi sanguinanti o piagati . Molti di noi sono rocciatori dal chiodo traditore e dalla fune spezzata e dalle ossa rotte per le cadute che la vita ci regala. Molti di noi sono immersi nella nebbia su tutti i fronti e invocano aiuto. Molti sono gli smarriti nella tormenta, assiderati e alla ricerca di un rifugio per la loro pace personale e famigliare. Ecco che allora la chiesa può essere e può diventare il rifugio del l’Uomo stanco, deluso, allo stremo delle forze e che batte alla porta per trovare ristoro.

 

E’ qui che il paragone chiesa uguale rifugio di montagna fatto dal sacerdote , a mio parere, calza, e come calza ! E calza bene anche per quello che si ritiene agnostico e non è un caso che soffra di una sorta di “ delirium tremens “ in questi giorni di festa, perché ha cercato il suo appagamento con i soldi, nelle agiatezze, nei brindisi, nei sorrisi e nei convenevoli spesso falsi. Per l’amico che è ateo provo un profondo sentimento di pietà. A lui consiglio di cercare la sua consolazione nel viso di uno come lui alla ricerca di se stesso, magari seduto nel banco d’una chiesa rifugio, e che come lui ha lo sguardo lontano e il tremolio sulle labbra che ricorda una invocazione a un Dio rifiutato, ma che si fa sentire ogni tanto come il ticchettio d’un tarlo. Consiglio di cercare la sua consolazione in un Dio personale e confidente e che magari in quel momento non risponde ma che prende nota delle nostre invocazioni.

 

In questa chiesa rifugio di montagna non è servita la grappa e nemmeno il vin brulé per scaldarci, però potremmo trovare chi ci conforta perché si sente solo come tanti di noi. Un prete? Ma sì, anche un prete, il custode di quella chiesa rifugio dove la gente va e viene, magari con fare assente, trafelato, ma per sempre desiderosa di rifugiarsi dalla “ tormenta “ che fuori scorre inesorabile e ci trascina dove non vorremmo.

 

Ezio Maifrè (Méngu)

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